martedì 23 settembre 2008

S. Kierkegaard: il difficile dialogo con l’anima ( Estratto)

a cura DI D. PICCHIOTTI

Il momento del passaggio dalla modalità di esistenza estetica a quella etica può sovrapporsi a quel “mezzogiorno della vita” che rappresenta il punto di viraggio dall’atteggiamento estroverso a quello introverso o anche la silenziosa, costante oscillazione dialettica tra l’investimento sulla Persona e il contatto con la funzione dell’Anima.

‘Malattia Mortale’ può essere considerato il permanere nevrotico, sterile, nella disperazione, per eccesso di inconsapevolezza o mancanza di coraggio, in quanto la vita, quella vera, è solo per i coraggiosi. ‘Malattia Mortale’ è la nevrosi immobilizzante che impedisce lo sviluppo dalla forma estetica di esistenza a quella etica, da cui si deduce che scegliere di essere autenticamente se stessi costituisce l’unico antidoto valido contro la morte psicologica.

Il percorso filosofico proposto da Kierkegaard attraverso gli stadi estetico, etico e religioso e i relativi vissuti di disperazione, impegno e aspirazione può permettere un accostamento tra i concetti di esistenza e di individuazione specialmente se si utilizzano le funzioni dialettiche dell’Io e l’Ombra, della Persona e l’Anima, del Sé.

Base comune su cui si sviluppano gli ‘Stadi sul cammino della vita’ o, se vogliamo, i percorsi individuativi dei ‘singoli’ dato che per entrambi gli autori, l’uomo è un essere in continua via di compimento .


Altro suggestivo accostamento è quello tra le funzioni del concetto di archetipo junghiano e quello di possibilità in Kierkegaard.

L’archetipo, la struttura strutturante, può anche essere visto come un concentrato di possibilità, la precondizione di tutte le dimensioni del possibile, lo snodo dal quale emergono le potenziali mutazioni di significato. E proprio in Kierkegaard l’esistenza può essere considerata il territorio entro cui circoscrivere tutte le dimensioni del possibile.

L’uomo è continuamente sottoposto all’oscillazione dialettica tra possibilità e necessità, ovvero il confronto tra l’inconscio e il principio di realtà, tra la libertà del possibile e la dittatura del reale.

Ed è proprio di fronte ad una situazione di crisi che può avvenire l’apertura al possibile, ovvero il disvelamento dell’archetipo.

L’esistenza, concatenazione concreta di possibilità e relative scelte, si dipana in continue fluttuazioni tra angoscia, diretta espressione della libertà di scegliere, e negazione di angoscia, ovvero l’appiattimento, il livellamento delle possibilità di scelta.

In altre parole, tra un approccio autentico ed uno in autentico all’esistenza.

Il paradosso consiste nel constatare che ‘Timore e Tremore’, il titolo di un’altra opera fondamentale di Kierkegaard, è proprio il sentimento di quei coraggiosi che si sentono in grado di sopportare il peso della responsabilità personale ed esclusiva della propria esistenza, mentre gli autentici pavidi vengono alleviati da tutto ciò.

È il costo umano di ogni percorso di individuazione, “il patire, la passione dell’Io”, come affermava Jung.
Erika Czako

Nell’iniziale citazione tratta da ‘Ricordi, Sogni, Riflessioni’, Jung ci suggerisce che questo contatto con l’infinito può essere sia capito che sentito, pone cioè sullo stesso piano le funzioni del pensiero e del sentimento ricordandoci che la comprensione delle esperienze deve scaturire dall’integrazione di fattori emotivi e razionali e perciò non si può delegare solo alla razionalità o all’emotività il compito di guidarci nelle nostre scelte.


Questa valutazione stimola un accostamento, per libera associazione, con Kierkegaard, filosofo del sentimento, in particolare quello religioso, ma, al tempo stesso, lucido e razionale analizzatore della condizione umana.

Apparentemente Kierkegaard non rientra nel quadro delle radici filosofiche del pensiero junghiano, debitore semmai più dello gnosticismo e del neoplatonismo, di Schopenhauer, Schelling e, ovviamente, di Nietzsche. Eppure vi sono alcuni punti di contatto che si rivelano stimolanti.


Innanzi tutto la centralità del concetto e dell’esperienza dell’angoscia, ovvero il sentimento cardine della vita psichica, il prisma che permette di scomporre ed analizzare il vissuto.

Sia Kierkegaard che Jung condivisero una lunga consuetudine con questo stato d’animo e, forti della loro capacità di analisi introspettiva, trassero da questa esperienza emotiva le basi per la loro successiva speculazione filosofica e psicologica.

Ebbero cioè la capacità di tradurre in termini creativi la loro sofferenza interiore.

È lecito pertanto accostare l’esperienza della ‘disperazione’, momento decisivo nella tematica di Kierkegaard, alla discesa agli Inferi, la nekyia, che permise a Jung di dischiudere le porte dell’inconscio.

Il contatto con l’angoscia coincise, in entrambi i pensatori, con il momento decisivo della scelta di esplorare dentro se stessi, per riconoscersi e diventare autenticamente ciò che si è.

Come direbbe Winnicott, salvare il vero Sé differenziandolo da quel falso Sé, estetico, costruito con la funzione di sbarramento difensivo.

‘Aut-Aut’, oltre che titolo di una delle opere più significative di Kierkegaard, può essere considerato anche il codice descrittivo del primo passo, quello fondamentale: la scelta, il farsi carico della libertà di essere se stessi, ovvero della possibilità di individuarsi, accettando l’allineamento tra libertà, possibilità, esistenza ed individuazione.

E la libertà, non a caso, viene collocata al primo posto. Altissimo è il prezzo che si è chiamati a pagare, perché incommensurabile è il valore della libertà, sia interiore che estrinseca.

La disperazione è anche consapevolezza della libertà di scegliere, del non potersi ormai più sottrarre al dovere di essere.

La disperazione costituisce una scelta, così come si sceglie di essere se stessi.

È anche il momento pervaso da un forte sentimento di colpa, proporzionale al sentimento di libertà che si vuole esprimere. Ogni cammino di individuazione inizia in questo clima psicologico. L’importante è capire che al sentimento di colpa segue il pentimento, l’accettazione di sé, e poi ancora l’assoluzione, ovvero la personalità esce dagli angusti ambiti storici e si volge verso l’infinito.



Il momento del passaggio dalla modalità di esistenza estetica a quella etica può sovrapporsi a quel “mezzogiorno della vita” che rappresenta il punto di viraggio dall’atteggiamento estroverso a quello introverso o anche la silenziosa, costante oscillazione dialettica tra l’investimento sulla Persona e il contatto con la funzione dell’Anima.
‘Malattia Mortale’ può essere considerato il permanere nevrotico, sterile, nella disperazione, per eccesso di inconsapevolezza o mancanza di coraggio, in quanto la vita, quella vera, è solo per i coraggiosi. ‘Malattia Mortale’ è la nevrosi immobilizzante che impedisce lo sviluppo dalla forma estetica di esistenza a quella etica, da cui si deduce che scegliere di essere autenticamente se stessi costituisce l’unico antidoto valido contro la morte psicologica.
Il percorso filosofico proposto da Kierkegaard attraverso gli stadi estetico, etico e religioso e i relativi vissuti di disperazione, impegno e aspirazione può permettere un accostamento tra i concetti di esistenza e di individuazione specialmente se si utilizzano le funzioni dialettiche dell’Io e l’Ombra, della Persona e l’Anima, del Sé.
Base comune su cui si sviluppano gli ‘Stadi sul cammino della vita’ o, se vogliamo, i percorsi individuativi dei ‘singoli’ dato che per entrambi gli autori, l’uomo è un essere in continua via di compimento . 

Altro suggestivo accostamento è quello tra le funzioni del concetto di archetipo junghiano e quello di possibilità in Kierkegaard.
L’archetipo, la struttura strutturante, può anche essere visto come un concentrato di possibilità, la precondizione di tutte le dimensioni del possibile, lo snodo dal quale emergono le potenziali mutazioni di significato. E proprio in Kierkegaard l’esistenza può essere considerata il territorio entro cui circoscrivere tutte le dimensioni del possibile.
L’uomo è continuamente sottoposto all’oscillazione dialettica tra possibilità e necessità, ovvero il confronto tra l’inconscio e il principio di realtà, tra la libertà del possibile e la dittatura del reale.
Ed è proprio di fronte ad una situazione di crisi che può avvenire l’apertura al possibile, ovvero il disvelamento dell’archetipo.
L’esistenza, concatenazione concreta di possibilità e relative scelte, si dipana in continue fluttuazioni tra angoscia, diretta espressione della libertà di scegliere, e negazione di angoscia, ovvero l’appiattimento, il livellamento delle possibilità di scelta.
In altre parole, tra un approccio autentico ed uno in autentico all’esistenza.
Il paradosso consiste nel constatare che ‘Timore e Tremore’, il titolo di un’altra opera fondamentale di Kierkegaard, è proprio il sentimento di quei coraggiosi che si sentono in grado di sopportare il peso della responsabilità personale ed esclusiva della propria esistenza, mentre gli autentici pavidi vengono alleviati da tutto ciò.
È il costo umano di ogni percorso di individuazione, “il patire, la passione dell’Io”, come affermava Jung. http://www.centrostudipsicologiaeletteratura.org/czako.html

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