martedì 23 settembre 2008

MAINE DE BIRAN-VITA E OPERE

a cura DI D. PICCHIOTTI

Nato a Grateloup vicino a Bergerac (Dordogne, Francia), il 29 novembre, 1766 e morto a Parigi, il 16 luglio del 1824, François-Pierre-Gonthier Maine de Biran ha studiato a Périgueux, ha fatto parte dell'esercito, ma dopo alcuni anni si è dimesso ed è entrato in politica. Nell’aprile del 1797 fa parte del Consiglio dei "Cinq Cents"; tuttavia, poiché ha subito l'ostilità del Direttorio per le sue simpatie monarchiche, si ritira a Grateloup, dove si dedica alla filosofia. La sua costituzione era fragile e sensibile e la sua inclinazione filosofica già si era manifestata tramite le sue osservazioni sull'influenza della condizione fisica sulla morale. Come ideologo vinse il premio al l’Istituto con il suo saggio Sull’abitudine (1802); ma il suo Decomposizione del pensiero (1805) mostra che egli sta deviando dalla teoria di quella scuola e in La percezione immediata (1807) e Rapporti del fisico e della morale dell’uomo (1811), è un antagonista della filosofia di XVIII secolo. Allora egli rientrò nell'arena politica e fu eletto al Parlamento in 1812, 1815 e 1820. Nell’ultima fase della sua vita, la sua tendenza al misticismo lo ha riportato gradualmente verso un Cristianesimo pratico. Tre fasi contrassegnano lo sviluppo della sua filosofia. Fino a 1804, una fase denominata "filosofia della sensazione", in cui era un seguace del sensismo del Condillac, che presto ha abbandonato per un sistema basato su un'analisi della riflessione interna. Nella seconda fase - la filosofia della volontà - 1804-18, per evitare il materialismo ed il fatalismo, ha abbracciato la dottrina dell’immediata appercezione, che indicava che l'uomo conosce se stesso e le cose esteriori dalla resistenza del suo sforzo. Riflettendo, l’uomo rileva lo sforzo volontario che differenzia il suo interno dalla sua esperienza esterna, imparando così a distinguersi fra l’ego ed il non-ego. Nella terza fase - la filosofia della religione - dopo il 1818, scopriamo che De Biran sostiene una psicologia mistica intuitiva. All’uomo sono date due condizioni di vita: la rappresentazione (comune agli animali) e la volontà (volontà, sensazione e percezione); ma Mainde de Biran ne aggiunge una terza: l’amore o durata dell'unione con Dio, in cui la durata della tolleranza divina assorbe la rappresentazione e la volontà. Maine de Biran è ritenuto da Cousin come il metafisico francese più grande dopo Malebrahche. Il suo genio non è stato riconosciuto completamente fin dopo alla sua morte, poiché il saggio Sull’abitudine (Parigi, 1803) fu l'unico libro che è stato pubblicato sotto il suo nome durante il corso della sua vita; ma la sua reputazione è stata stabilita saldamente sulla pubblicazione dei suoi scritti, in parte da Cousin (Aperture filosofiche di Maine de Biran, Parigi, 1834-41) e in parte da Naville (Aperture inedite di Maine de Biran, Parigi, 1859).

IL PENSIERO

Per François Pierre Maine de Biran la riflessione interiore - su cui deve basarsi l'autentica filosofia - conduce ad una visione spiritualistica. Con ciò egli dichiara di porsi nella tradizione di pensiero che va da Montaigne a Pascal e a Malebranche. È vero che la sensibilità umana è "passiva", ma è pur vero che l'esperienza interiore testimonia una "libera attività", indipendente dai condizionamenti della sensazione e della stessa realtà esterna. Questa libera attività anzi ha un primato di valore; nel senso che essa, in modo autonomo, e secondo un criterio permanente di perfettibilità dei propri prodotti, traduce le sensazioni, molteplici e instabili, in conoscenza e in azione. Essa dunque è la condizione assoluta dell'attività teoretica e dell'attività pratica dell'uomo. Tale attività è la caratteristica della coscienza. Ma che cos'è la coscienza? L'autoriflessione ce la indica come il nostro "senso intimo"; cioè il "sentimento di esistenza individuale", o anche il sentimento dell'identità di sé con sé del soggetto conoscente. Sul piano, dunque, del discorso teoretico, essa rappresenta non solo la condizione di ogni conoscenza, ma essa stessa una prima la piú semplice e insieme la piú certa - forma di conoscenza; cioè la conoscenza del proprio io come unitario, stabile, permanente nella sua identità; conoscenza del proprio io che non si lascia travolgere e trasformare dalla molteplicità e varietà delle sensazioni, ma che è il centro in cui queste acquistano valore conoscitivo. Sul piano, poi, del discorso pratico, la coscienza testimonia all'io che vuole ed agisce di essere "forza" e "causa", unico principio di ogni atto di libera volontà e unica origine di tutti i suoi prodotti. C'è infine un terzo piano su cui va inoltre condotto il discorso sulla coscienza: quello religioso, quello della fede. Il "senso intimo" rappresenta la fonte delle certezze religiose, e soprattutto di quella che "esiste un Essere ordinatore di tutte le cose", cioè Dio. E infatti nella coscienza, attraverso l'esperienza della preghiera e della meditazione, che Dio si manifesta all'uomo essa è pertanto il "luogo" di una "rivelazione originaria di Dio" che non solo non contraddice, ma integra e potenzia quel]a di cui la Chiesa è depositaria e custode. L'uomo dunque ha tre vite distinte: quella organica, quella cosciente e quella religiosa; la prima è in funzione della seconda, ma questa non si riduce - come voleva Condillac - alla prima, né dipende totalmente da essa; inoltre la seconda è in funzione della terza, ma anche in questo caso la terza non può ridursi o esaurirsi nella seconda. Di qui de Biran trae alcune conclusioni, come ad esempio quella che la libertà che si esperisce nella vita cosciente non costituisce il grado massimo di libertà dell'uomo; infatti solo nella vita religiosa la libertà è compiuta, in quanto l'uomo è completamente sottratto alle influenze delle passioni. Sul piano formale il discorso filosofico di de Biran approda a un esito religioso; in realtà la prospettiva religiosa ne costituisce il presupposto logico e la motivazione. Esso risponde allo scopo di garantire razionalmente l'autorità della Chiesa il cui messaggio, per il filosofo, trova fondamento psicologico nella rivelazione interiore di Dio all'individuo; esso è conformato all'obiettivo di difendere la continuità della presenza della Chiesa nella tradizione storica. Ma c'è di piú; la difesa del ruolo della Chiesa è contestuale a quella delle istituzioni socio-politiche esistenti; de Biran infatti tinge d'ottimismo l'evoluzione di quelle istituzioni, garantendone religiosamente l'autorevolezza e l'autorità. Come l'individuo - egli dice infatti - tende all'assoluto, cosí anche l'umanità nel suo complesso; le istituzioni sociali e politiche pertanto sono in cammino verso forme sempre piú perfette; il destino dell'individuo e quello dell'umanità associata si compiranno quando i "valori assoluti" diventeranno norma sia dell'esistenza singola che della convivenza civile.

ALLE ORIGINI DELLO SPIRITUALISMO FRANCESE

Maine de Biran può sicuramente essere considerato uno dei padri fondatori dello spiritualismo francese: egli fonda una nuova concezione della coscienza su base non metafisica, ma meramente psicologica, dandone una fondazione più scientifica che non filosofica; egli si colloca come propaggine estrema della corrente dell’ideologie, dello studio delle idee - intese come prodotto della mente - nella loro correlazione col corpo. Maine de Biran asserisce che dobbiamo partire da un "fatto primitivo" - che può esser posto a fondamento della scienza - che non sia un fantasioso principio astratto (quale era l’Io di Fichte), ma un fatto: ricollegandosi al "fatto", egli - che pure del positivismo fu acerrimo nemico - si accosta alle tesi e alla terminologia positivistiche. Il fatto originario in questione è il "senso interno" (detto anche "sentimento della mia esistenza"), con un fin troppo evidente richiamo al cogito cartesiano (letto però in chiave scientifica). Tale originario sentimento della mia esistenza è dato dal fatto che mi sento opporre una resistenza da qualcosa di a me esterno: è cioè dato dalla coscienza di uno sforzo, il sentirmi come attività lottante contro la passività dell’esterno che mi si oppone e mi fa resistenza (e tra questi oggetti esterni a me opponentisi c’è il mio stesso corpo, che lotta contro il mio sforzo interno). Riconoscere al soggetto l’attività (ovvero la spontaneità) come sua essenza equivale a riconoscere che egli è libero, sottratto da una catena causale i cui singoli anelli sono insieme attività (causano) e passività (sono effetti di altre cause): la causalità necessaria, allora, si deve arrestare un attimo prima che si entri nell'interiorità del soggetto. "Porre in discussione la libertà significa mettere in dubbio il sentimento dell’esistenza dell’io, che da essa non si differenzia […] La libertà, o l’idea della libertà, considerata nella sua fonte reale, non è altro che il sentimento della nostra attività e del nostro potere di agire e di produrre lo sforzo costitutivo dell’io": nel soggetto impera un’energia prorompente all’esterno e scontrantesi con esso; libertà è, appunto, sentire la nostra attività interna, lo sforzo costitutivo dell'io. Sebbene nel mondo esterno regni il determinismo, sussiste un ambito che da esso non è minimamente sfiorato: tale è l’ambito della coscienza, regno della spontaneità. Questo modello è ripreso e corretto dallo spiritualismo: caratteristica precipua è la distinzione e la separazione dei piani, per cui coscienza e realtà materiale sono due sfere eterogenee e quindi incompatibili, senza che una sia la versione nobilitata dell’altra. Nello spiritualismo, tuttavia, il discorso si fa più complesso: la coscienza è caratterizzata da spontaneità e, per ciò, è libera e sottratta alla causalità; ma poi lo spiritualismo tende a fare della coscienza la realtà fondamentale, rispetto a cui la non-coscienza (ossia la natura) è realtà subordinata e derivata, quasi come se fosse una coscienza addormentata e oggettivata, che ha perso lo smalto delle sue prerogative. Si giunge per tal via ad un monismo camuffato, per cui l’unica realtà è la coscienza, e la natura - eccanicisticamente intesa da Cartesio, da Kant e da Maine de Biran - è coscienza sviluppatasi in maniera più grossolana. Ciò significa che, in qualche modo, l’intera realtà è spontanea, anche se non manifestantesi nella forma umana della libertà: sicchè lo spiritualismo può affermare la libertà in forma generalizzata, tale per cui essa è estendibile all’intera realtà, poiché anche la natura è spontanea e attiva, capace di produrre il nuovo: in tal senso, l’effetto non può mai essere inteso come mero risultato meccanico della causa.

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