Manet" UN IMPROBABILE RIVOLUZIONARIO
RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
Artista gentiluomo, sempre impeccabile in società, Manet fu colto
alla sprovvista dallo scandalo suscitato dai suoi quadri e non riuscì mai a farsi una ragione
dell’insuccessso riportato dalla sua pittura.
Edouard Manet nacque a Parigi il 23 gennaio 1832, primogenito di un alto funzionario statale del Ministero di Giustizia, ed era destinato - almeno agli occhi del padre - ad una solida carriera legale.
Ma Edouard non possedeva il temperamento per seguire le orme paterne.
Sin dall’inizio trovò la scuola poco interessante e fu allievo piuttosto svogliato; preferiva di gran lunga la vita domestica e la confortante presenza della madre, Eugénie, per la quale egli aveva una vera adorazione.
Donna con vasti interessi artistici, la signora Manet amava la musica e fece in modo che Edouard e i suoi due fratelli minori ricevessero lezioni di piano; la sera, Edouard imparava anche il disegno, sotto la guida dello zio, Edmound Fournier, appassionato d’arte.
Nel 1848 il contrasto con il padre giunse ad una crisi decisiva: Edouard, che in quel periodo avrebbe dovuto iniziare gli studi di diritto, aveva ormai maturato la decisione di dedicarsi alla pittura, ma il signor Manet trovava inaccettabile questa proposta; alla fine i due giunsero a un compromesso ed Edouard accettò di entrare in marina.
Agli esami d’ammissione venne respinto ma gli venne offerta la possibilità di ripeterli a condizione che facesse sei mesi di apprendistato su una nave da trasporto: il 9 dicembre 1848 Manet s’imbarca per Rio de Janeiro.
LA CARRIERA ARTISTICA
Tornato in patria, il ragazzo ritentò gli esami d’ammissione ma fallì ancora; nel frattempo aveva potuto verificare come le privazioni della vita di bordo no facessero per lui: chiese perciò nuovamente al padre il permesso di intraprendere la carriera artistica.
Il signor Manet si convinse a dare il suo consenso e nel gennaio 1850 Manet si iscrisse, a Parigi, all’atelier di Thomas Couture, un pittore che godeva di buona fama nell’ambiente artistico della capitale.
Manet aveva un talento istintivo per la pittura: a diciott’anni, aveva già elaborato le proprie convinzioni artistiche e in massima parte esse non concordavano affatto con quelle del suo insegnante.
Le tradizioni codificate e l’artificiosità della pittura accademica lo esasperavano.
Si narra che una volta, allorchè gli venne chiesto di copiare il calco in gesso di una statua antica, egli l’abbia disegnata capovolta, adducendo come giustificazione il fatto che così fosse più interessante, diceva infatti che ogni artista appartiene al tempo in cui vive e deve dipingere ciò che vede.
Di altezza media e di forte costituzine, Manet era un uomo raffinato ed affascinante: ogni particolare della sua persona lo rendeva del tutto improbabile come rivoluzionario e infatti, nonostante le sue idee anticonformiste sull’arte, egli desiderava essere accettato al Salon, l’istituzione ufficiale del mondo artistico francese.
Nel 1850, mentre era ancora studente, Manet avviò una relazione con l’insegnante di piano, Suzanne Leenhoff,una bella ventenne olandese.
Due anni più tardi, suzanne diede a Manet un figlio: rivelare pubblicamente l’accaduto sarebbe stato impensabile, dato l’ambiente cui il pittore apparteneva, inoltre il padre non avrebbe mai dato la propria benedizione a un matrimonio tanto sbagliato; così, con l’aiuto della madre, Manet sistemò Suzanne in un appartamento ammobigliato.
Più tardi i due si sposarono, ma anche dopo il matrimonio Suzanne dovette sempre far credere che il bambino, Leon-Edouard Koella, fosse un fratello e Manet continuò a sostenere, secondo la versione ufficiale, di essere il padrino di Leon.
Manet studiò con Couture per sei anni: fu un periodo ininterrotto unicamente da un viaggio in Italia, nel 1853, in occasione del quale ebbe modo di copiare gli antichi mastri, visitando Venezia, Firenze e Roma.
Poi, nel 1856, abbandonò Couture e cominciò a lavorare per conto proprio.
Ma prima di sistemarsi stabilmente aprendo uno studio, viaggiò in Olanda, Germania, Austria e tornò in Italia, visitò gallerie e pinacoteche ed eseguì numerosi shizzi.
Egli lavorava intensamente, ma trovava anche il tempo per il piacere e i divertimenti, soprattutto per le feste notturne e le discussioni al caffè con gli amici.
DELUSIONE E SCANDALO
Nel 1859 Manet sottopose la sua prima tela, Il bevitore d’assenzio, al giudizio del Salon; sperava in un successo, ma il quadro venne invece rifiutato quasi all’unanimità.
Amaramente deluso, ma ancora alla ricerca del favore della critica ufficiale, Manet cominciò a lavorare al quadro, che avrebbe poi deciso di non presentare al Salon del 1862, intitolato Musica alle Tuileries, nel quale è rappresentata l’elegante folla parigina, negli abiti alla moda, oziosamente seduta all’ombra degli alberi.
Nel frattempo il Chitarrista spagnolo era stato accettato al Salon del 1861 e gli aveva procurato una mention Honorable: era così cresciuta in Manet la fiducia in se stesso, confortata dalla consapevolezza di aver raggiunto un’affermazione anche agli occhi della propria famiglia.
Quel successo fu d’altra parte davvero tempestivo: il padre, infatti, moriva poco dopo, nel corso del 1862.
In occasione di una mostra personale, che ebbe luogo nei primi mesi del 1863, Manet fu nuovamente ferito dall’accoglienza negativa riservata al suo Musica alle Tuileries; nondimeno egli decise di inviare al Salon del 1863 la Colazione sull’erba: la tela venne respinta e fu invece poco dopo esposta al Salon des Refuses.
Qui potevano essere esposti i lavori che erano stati esclusi dal Salon: Manet si trovò in compagnia di artisti come Cézanne e Whistler.
L’interesse del pubblico per il Salon des Refuses fu enorme, i visitatori furono numerosi ma le opere esposte non vennero capite, anzi per la maggior parte furono ridicolizzate e la tela di Manet suscitò addirittura un’ondata d’indignazione e di sdegno.
Il pubblico, dal quale Manet si attendeva, forse ingenuamente, la piena approvazione, schernì e derise apertamente l’indecenza di quel quadro, nel quale una donna nuda si trovava, quasi accidentalmente, seduta sull’erba a fianco di uomini completamente vestiti e oltretutto in abiti moderni.
A dispetto delle sue intenzioni e del suo desiderio di ottenere un riconiscimento ufficiale, Manet stava ora acquistando la reputazione di capo indiscusso degli artisti anticonformisti.
Quando poi, nel 1865, il Salon accettò di esporre il nudo dell’Olimpia scoppiò uno scandalo ancora maggiore.
Critica e pubblico erano addirittura esterrefatti da ciò che vedevano: si trattava questa volta nientemeno che di una prostituta nuda che, candidamente e senza mostrare vergogna, tiene il suo sguardo sullo spettatore, nella posa di una Venere classica.
La morale pubblica era stata oltraggiata: certo l’artista aveva deliberatamente inteso irridere la tradizione.
A causa della sconvolgente violenza della reazione del pubblico Manet venne colto da una profonda crisi depressiva e per qualche tempo fu incapace di dipingere; partì per la Spagna in cerca di pace e là subì il fascino incantato dei quadri di Velàzquez.
UOMO DI MONDO
Sebbene quelli fossero anni di lotta per l’affermazione del suo lavoro, Manet aveva perlomeno il solievo di una situazione finanziaria priva di preoccupazioni.
La morte del padre lo aveva lasciato in buone condizioni economiche e libero di sposare Suzanne.
Insieme, Edouard e Suzanne intrapresero un’attivissima vita di società, dando ricevimenti ed offrendo serate musicali.
Manet inoltre continuava a frequentare i caffè, in particolare il Cafè Guerbois, dove ogni Giovedì si riunivano Whistler, il fotografo Nadar, Renoir, Degas e Monet; qui l’artista incontrò lo scrittore Emile Zola, che sarebbe poi divenuto un suo estimatore.
A 35 anni Manet era ancora ben lontano dall’affermazione.
Nella speranza di riuscire a conquistarsi un suo pubblico organizzò una costosa personale all’Esposizione Universale di Parigi del 1867.
Il risultato fu, com’era prevedibile, negativo: i visitatori accorsero in gran numero, ma più per deriderlo che per ammirarlo.
I suoi nervi erano ormai provati da tutti quegli anni di opposizione e nel 1870 l’artista giunse ad un tal punto di esasperazine da sfidare a duello Edmond Duranty, un giornalista che aveva pubblicato su un giornale un articolo diffamatorio.
Per fortuna, il combattimento venne subito interrotto e Manet finì per offrire all’avversario i suoi stivali in segno di amicizia.
Nel luglio dello stesso anno, l’attività di Manet venne interrotta dallo scoppio dell guerra franco-prussiana.
Come tenente della Guardia Nazionale, egli rimase a Parigi per l’intera durata del conflitto, sistemando invece la propria famiglia a Olron, nei Pirenei.
Dopo mesi di privazione nella capitale assediata, Manet raggiunse infine la madre, la moglie ed il figliaccio all’inizio del 1871; nel maggio fecero tutti ritorno a Parigi, dove si trattennero sino alla caduta della comune.
In conseguenza delle difficoltà sopportate Mnet ebbe un tracollo nervoso e venne inviato a Boulogne per ristabilirsi.
In quello stesso periodo, tuttavia, la sua fortuna artistica cambiò: nel 1872 il mercante d’arte Paul Durand-Ruel acquistò una trentina di tele e oltre a ciò i suoi quadri vennero accettati al Salon per due anni di seguito.
Manet aveva allora 40 anni.
Sotto l’influenza degli artisti più giovani che frequentava, egli aveva cominciato a sperimentare la pittura en plein air e la sua tavolozza si andava rischiarando.
Ad Argenteuil, dipinse fianco a fianco con Monet e renoir adottando uno stile più spontaneo e colori più vivi.
Comunque, nonostante il legame con gli impressionisti, dei quali condivideva con lealtà il lavoro, convinto che il miglior approcio col pubblico fosse ancora offerto dal Salon, rifiutò di prender parte alla mostra impressionista del 1874.
UNA TERRIBILE MALATTIA
Negli anni Sessanta la fortuna di Manet al Salon continuò ad essere alterna: presso la critica, comunque, il suo lavoro andava lentamente guadagnando terreno e la sua tecnica si affinava raggiungendo un virtuosismo senza precedenti.
Verso la fine del decennio, però, Manet cominciò ad avvertire i primi sintomi di quella che si sarebbe rivelata una malattia seria: il piede sinistro cominciò a colergli, spesso l’artista veniva colto da profonda stanchezza e da dolori lancinanti per tutto il corpo.
Per qualche tempo egli si limitò a pensare che potesse trattarsi di reumatismi, associati a un forte esaurimento nervoso, ma presto gli venne diagnosticata una atassia locomotoria, una malattia talvolta associata agli stadi più avanzati da sifilide.
Manet cominciò un trattamento medico a Bellevue, appena fuori Parigi.
Continuava a dipingere, sebbene andasse vieppiù dedicandosi ai pastelli, che, rispetto agli oli, mettevano molto meno alla prova la sua resistenza fisica; nel 18880 affittò una villa vicino al Parco di Versailles, dove si ritirò in convalescenza e dove però, essendo intensamente legato alla vita di città, non fu mai completamente felice.
La pittura di Manet pareva ora molto meno rivoluzionaria che negli anni Sessanta: nel 1881 gli venne assegnata la medaglia per il secondo posto al Salon e alla fine dell’anno venne anche nominato cavaliere della Legion d’Onore, grazie soprattutto agli sforzi del fedele amico e ministro delle Arti Antonin Proust.
Il consenso ufficiale però giunse troppo tardi per essere interamente apprezzato.
Storpiato dal dolore e sempre più irritabile Manet intraprese ulteriori terapie, ma le sue condizioni peggiorarono.
Trascorse in campagna, dove redasse il suo testamento, l’estate del 1882 e fece ritorno a Parigi moribondo.
Nel marzo 1883 subentrò la cancrena e il 30 aprile morì, tra terribili dolori, all’età di 51 anni.
L’ARTISTA AL LAVORO
UN PITTORE DEL SUO TEMPO
Elegante e mondano, Manet fu soprattutto il pittore della Parigi contemporanea. Traeva ispirazione dalla vita delle classi elevate tanto quanto da quella delle classi umili e essere felice lontano dalla capitale.
Di tutti i grandi artisti del XIX secolo, Manet è forse quello che più difficilmente si può racchiudere in una categoria.
Fu considerato un rivoluzionario, ma ambiva invece al successo accademico e agli onori ufficiali; faceva parte delle cerchie degli Impressionisti, ma non espose mai con loro; fu soprattutto il pittore della vita contemporanea, ma il suo rispetto per gli antichi maestri era forse più profondo di quello i ogni altro tra gli artisti contemporanei.
Alcuni critici lo hanno accusato di saper dipingere soltanto quello che aveva dinnanzi agli occhi, per altri invece i suoi quadri sono tra i più complessi e penetranti di quel periodo storico.
Tutte queste contraddizioni testimoniano l’enorme varietà dell’arte di Manet ed il suo approcio antidogmatico a tutto quello che all’arte era connesso.
Egli dipinse paesaggi, scene quotidiane, nature morte, ritratti, soggetti religiosi tradizionali, episodi della storia moderna e altri soggetti, come ad esempio la Colazione sull’erba, che sfuggono ad ogni facile definizione.
Diversamente dalla maggior parte dei suoi contemporanei, solo raramente Manet riprendeva temi già affrontati.
I suoi lavori vanno dallo schizzo intimo ed essenziale alla tela di grande dimensione, ambiziosamente diretta a spiccare sulle pareti del Salon, ma era anche un eccezionale disegnatore e pastellista e un magistrale incisore.
In tutti questi campi, dimostrò un talento istintivo e la conoscenza approfondita di ogni mezzo espressivo.
Come molti grandi artisti, fu restio alle teorizzazioni astratte: una volta rifiutò di pubblicare le proprie idee sull’ arte affermando che lo avrebbe fatto male perchè quello non era il suo mestiere e sostenendo che ognuno avrebbe dovuto attenersi eclusivamente al proprio lavoro.
LA SPONTANEITA’ DEGLI SCHIZZI
Sebbene l’opera di Manet sia straordinariamente varia, si può affermare che il suo fondamento consiste essenzialmente nell’abilità del disegno, grazie alla quale l’artista cattura come immediatezza la vita che gli scorre intorno, sui boulevards o nei cafes di Parigi.
Manet portava sempre con sè, ovunque andasse, taccuini sui quali schizzava ciò che lo colpiva, come un suo comtemporaneo ha tramandato “Il minimo oggetto o dettaglio di un oggetto che attirava la sua attenzione veniva rapidamente fissato sulla carta”.
Il senso di spontaneità che Manet riusciva a catturare nei disegni era essnziale per la sua arte, ed il suo metodo di lavoro era fondamentalmente concentrato a serbarlo.
La sua amicizia con gli Impressionisti lo indusse ad assaporare le gioie della pittura en plein air, anche se non era facile mantenere poi la stessa freschezza al dipinto quando l’artista lo riprendeva in studio, ove gran parte del lavoro veniva effettuato.
MODELLI DI FAMIGLIA
Manet evitò il pericolo della convenzionalità e del formalismo che potevano derivare dall’impiego di modelli professionisti e fece soprattutto assegnamento sui propri familiari ed amici, ai quali chiedeva di posare per lui.
I suoi fratelli e i cognati, Berthe Morisot e gli altri amici, pittori e critici, compaiono regolarmente nei suoi quadri.
In due dei suoi lavori più famosi, la Colazione sull’erba e l’Olimpia, si servì di una modella professionista, Victorine Meurent.
Entrambe queste tele erano state accuratamente preparate; più spesso, invece, come sottolineò l’amico Emile Zola, “quando cominciava un quadro, non poteva mai dire con precisione cosa ne sarebbe uscito”.
I quadri di Manet, in effetii, non danno quasi mai l’impressione di essere stati studiati, ma piuttosto quella di scaturire dall’impulso dell’ispirazione.
Spesso in realtà il pittore ingaggiava una lunga battaglia per ottenere gli effetti desiderati, era impietosamente autocritico e dipingeva all’infinito lo stesso passaggio, o addirittura giungeva a distruggere la tela e a ricominciare daccapo.
Sebbene Manet si rivolgesse preferibilmente a soggetti tratti dalla contemporaneità, tornava spesso all’arte del passato in cerca di nuova ispirazione.
Eseguì numerose copie degli antichi maestri, che studiò assiduamente al Louvre e durante i suoi viaggi in Olanda, Italia e Spagna.
Particolarmente esaltante fu, in Spagna, il suo incontro con la pittura di Velazquez: la predilezione per le forme nette e decise stagliate contro uno sfondo piatto, verificabile ad esempio nel Piffero di reggimento, riflette l’ifluenza del grande maestro del XVII secolo.
Manet subì anche l’influenza delle stampe giapponesi, che lo interessarono per la vivacità e la forza del colore steso a piatto e l’insistita linearità del disegno.
Nel Ritratto di Emile Zola incluse una stampa giapponese fra le immagini appese alla parete alle spalle del personaggio, insieme alla riproduzione a stampa di un quadro di Velazquez e alla fotografia della sua Olimpia quasi a comporre una sorta di manifesto artistico.
L’audacia che contraddistingue l’opera di Manet non dipende solo dalla composizione e dal colore, ma anche dalla maniera estrema originale di trattarlo e soprattutto dall’impiego cotrastato della luce e dell’ombra.
La tradizionale pratica accademica prescriveva gradazioni molto sottili, tali da mescolare impercettibilmente l’ombra nella luce; Manet invece amava i contrasti netti.
L’affetto è in qualche modo comparabile a quello visibile nelle fotografie scattate col flash, nelle quali le forme appaiono nette ma allo stesso tempo piuttosto appiattite.
Il rifiuto della tradizionale figurativa offese i critici contemporanei, uno dei quali scrisse a proposito dell’Olimpia: “le ombre vengono rappresentate da macchie più o meno grandi di nero...
Anche la donna meno attraente ha ossa, muscoli, pelle, e un qualche colore addosso.
Qui non c’è niente di tutto questo”.
IL FONDATORE DELL’ARTE MODERNA
Sebbene sia universalmente riconosciuto come uno dei giganti dell’arte del XIX secolo e la sua sontuosa pittura venga considerata una delle sue massime vette, restano ancora da spiegare ed analizzare molti aspetti della sua opera.
Spesso, come nel suo ultimo grande capolavoro, il Bar delle Folies-Bergere, la caratterizzazione dei personaggi è enigmatica e indefinita: in realtà i quadri di Manet paiono avere spesso come soggetto la pittura piuttosto che l’oggetto rappresentato.
Per questo interesse nei riguardi dei fenomeni puramente visivi, libero da ogni connessione letteraria, aneddotica o morale, egli si pone come uno dei fondatori dell’arte moderna.
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