’Estetica e l’arte nel Novecento: l’unità assente – Elio Franzini
a cura DI D. PICCHIOTTI
L’estetica è disciplina filosofica che nel Novecento ha passato molto (troppo) tempo a interrogarsi
su se stessa. Essa nasce da un istinto, secondo il poeta Paul Valéry, quello, di fronte all’arte, di
“approfondire” la propria gioia.
Ma che rapporto ha l’arte con l’estetica? E come questo rapporto si sviluppa nello scorso secolo?
Sul piano storico – per rispondere alla prima domanda – il rapporto è soltanto indiretto: non solo
perché l’estetica significa “teoria della sensibilità”, ma in quanto i suoi rapporti si sono svolti, dal
Settecento, quando è stata battezzata, sino ad oggi, con i concetti generali di gusto, genio, bello,
sublime più che con la singolarità delle opere d’arte. E, quando ha incontrato l’arte – come con
l’idea di simbolo in Kant o con la questione della morte dell’arte in Hegel – si è trovata con essa
in conflitto, sempre più distante dalla sua vita concreta.
Il Novecento ha, se possibile, reso ancora più evidente, e dunque più drammatica, questa
situazione. Forse perché l’estetica stessa vive in questo secolo un momento di crisi e di
frammentazione, non ha compreso le scissioni che attraversano il mondo delle arti, come non mai
frantumato tra idee e movimenti espressivi, così numerosi da non poter essere raccolti intorno a
idee unitarie e, forse, neppure storicizzati.
Ci si deve allora chiedere che cosa sia accaduto, perché mai i filosofi, a differenza di quel che
accadeva con Diderot nel Settecento, non discutano più intorno alle esposizioni artistiche o,
quando lo fanno, si perdano anch’essi nella molteplicità delle critiche e nelle banalità della società
dello spettacolo.
E’ accaduta, forse, la perdita di un centro: di quel centro che era stato per secoli il grande
paradigma del legame tra estetica e arte, cioè il concetto di Bellezza. La Bellezza classica, non solo
quella antica, ma quella incarnata nelle forme di Canova, di Goethe, di Winckelmann non si trova
più nell’arte e non si sa più vedere in essa quella “promessa di felicità” di cui parlava Baudelaire.
Ma ciò significa che intorno all’arte non si può più “pensare”? Che le opere non possano più
essere occasione per presentare forme, emozioni, ideali compositivi? L’unitarietà armonica della
forma, la piacevolezza, l’euritmia sono davvero gli unici valori dell’arte, quelli che il Novecento ha
ucciso e che frammentano ogni riflessione intorno ad essa?
Il tentativo di rispondere a queste domande apre allora alcune prospettive che l’estetica ha
faticosamente percorso cercando nell’arte – simbolo di una nuova unità – un “paese fertile”. E
disegnando per se stessa un destino che non sia quello di giustificare la molteplicità delle poetiche,
degli stili e delle forme, bensì di riconoscere gli elementi che costituiscono i suoi attuali statuti.
L’arte, scrive Valéry, è il risultato di una “combinazione” tra il caso e la necessità: forse lo è
sempre stata. Ma oggi ha la consapevolezza di questo suo destino: ed è a partire da essa che può
superare l’assenza di unità con il pensiero filosofico.
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