giovedì 2 ottobre 2008

 J. G. Fichte, Prima introduzione alla Dottrina della Scienza

a cura DI D. PICCHIOTTI
 
Un essere ragionevole finito non dispone di nient’altro all’infuori dell’esperienza: è l’esperienza che contiene l’intera materia del suo pensiero. Il filosofo sottostà necessariamente alle stesse condizioni. Sembra dunque impossibile pensare ch’egli possa elevarsi al di sopra dell’esperienza.
Ma egli ha la possibilità di astrarre, cioè a dire separare, mediante la libertà del pensiero, ciò che nell’esperienza è unito. Nella esperienza la cosa, e cioè ciò che è determinato indipendentemente dalla nostra libertà e a cui la nostra conoscenza si rivolge, e l’intelligenza, che ha la funzione di conoscere, sono inscindibilmente unite. Il filosofo può prescindere dall’una o dall’altra, e ha cosí astratto dall’esperienza, si è elevato sopra di essa. Se prescinde dalla cosa gli rimane, a giustificare l’esperienza, un’intelligenza in sé; se prescinde dall’intelligenza gli rimane, a giustificare l’esperienza, una cosa in sé. Nel primo caso fa astrazione dal rapporto dell’intelligenza con l’esperienza; nel secondo fa astrazione dal fatto che la cosa si presenta nell’esperienza. Il primo procedimento si chiama idealismo, il secondo dogmatismo.
Da tutto ciò risulta abbastanza evidente che questi due sono gli unici sistemi filosofici possibili. [...]
Il contrasto tra l’idealista e il dogmatico consiste propriamente in ciò: se l’autonomia dell’io debba essere sacrificata a quella della cosa o viceversa. Che cos’è dunque che induce un uomo ragionevole a decidersi per l’una cosa piuttosto che per l’altra?
Di questi due termini [io e cosa], uno solo può essere il primo, l’originario, l’indipendente: quello che è secondo non diventa necessario se non per il fatto che è il secondo, dipendente dal primo, al quale ha da essere legato.
Quale di questi due termini dev’essere fatto primo? La ragione non è in grado di fornire un principio che risolva l’alternativa, poiché si tratta non di collegare un membro all’interno d’una serie, per il che principî di ragione sarebbero sufficienti, ma di cominciare la serie intera, il che, essendo un atto assolutamente primo, non dipende che dalla libertà del pensiero. Tale atto è dunque determinato dall’arbitrio, e, dato che la decisione dell’arbitrio deve pure avere una ragione, dall’inclinazione e dall’interesse. La ragione ultima della differenza fra idealista e dogmatico è perciò la differenza del loro interesse.
L’interesse supremo, principio di ogni altro interesse, è quello che abbiamo per noi stessi. Il che vale anche per il filosofo. [...]
La scelta di una filosofia dipende da quel che si è come uomo, perché un sistema filosofico non è un’inerte suppellettile, che si può lasciare o prendere a piacere, ma è animato dallo spirito che un uomo ha. Un carattere fiacco di natura o infiacchito e piegato dalle frivolezze, dal lusso raffinato e dalla servitú spirituale, non potrà mai elevarsi all’idealismo.
Si può mostrare al dogmatico l’insufficienza e l’inconseguenza del suo sistema, secondo quanto diremo tosto, lo si può tormentare e confondere in ogni senso, ma non lo si può convincere, perché egli non sa ascoltare e saggiare pacatamente e freddamente una dottrina che egli non può assolutamente tollerare. Per esser filosofi - posto che l’idealismo si confermi come l’unica vera filosofia - bisogna esser nati tali, essere stati educati tali, e tali educarsi: non c’è arte umana che valga a far diventar filosofo. È per ciò che questa scienza si ripromette pochi proseliti fra gli uomini già fatti: se le è dato d’avere qualche speranza, essa lo ripone nella gioventú, la cui congenita energia non s’è ancora rovinata nella fiacchezza dei nostri tempi.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao,
Scusa mi piaceva l'immagine della mela tagliata.
Non è che sapresti indicarmi l'autore o il nome dell'opera?

Francesco