domenica 5 ottobre 2008

Vuoi migliorare la tua vita? Zen e Well-being

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Lo Zen mi ha interessato quando ho letto un testo di L. Speciani in cui si spiega chiaramente che lo Zen è un'evoluzione del buddhismo. Con le parole di Speciani:
"In Cina, dove imperano taoismo e confucianesimo (due religioni molto pratiche e legate al quotidiano) il buddhismo si svuota della maggior parte degli aspetti rituali e speculativi (peraltro già ridotti all'osso) e nasce lo Zen, come corrente di pensiero ancora più rivolta all'istintività e alla spontaneità dei gesti. Lo Zen, che non contraddice in alcun modo le basi teoriche del buddhismo, si pone però fin da subito in una posizione critica, rifiutando a priori il valore delle scritture, la rigidità dei precetti, le speculazioni mentali e qualunque simbolo (basti pensare a quel detto Zen che recita "Se vedi il Buddha uccidilo", cioè non attaccarti a NESSUN simbolo). Dà quindi il massimo valore all'esperienza e all'istintività, sottolineando con forza il valore delle sedute di meditazione come mezzo per evolversi e raggiungere l'illuminazione. Pratica quotidiana, quindi, in contrasto con le letture, le preghiere, i riti, lo studio teorico di testi e problemi teologici, È proprio questo rifiuto delle gerarchie dell'autorità, del dogmatismo e delle strutture, che fa dello Zen la "pecora nera" del buddhismo."
In realtà se si visitano i siti Zen non si ha questa impressione di distacco dai riti, dalle preghiere, dalla "Chiesa" insomma. Inoltre la figura del monaco è sempre presente. La mia impressione è che esistano varie forme di Zen, alcune più "religiose", altre meno, più concrete. Ovvio che sarebbe opportuno, onde evitare confusioni, definirle con nomi diversi.
Anche se Speciani non concorda su questo punto, lo Zen descritto nel libro è una visione personale di forme troppo religiose o troppo filosofiche (vedasi www.Zendoccidente.org, www.monasteroZen.it o www.centroitalianoZen.it/).
La nota stonata
In effetti ho notato che troppe persone usano le filosofie orientali per giustificare i propri comportamenti spesso incoerenti. Tali filosofie, applicate da un occidentale che vive nel mondo occidentale, sono spesso, nella loro complessità, la giustificazione razionale a tutti i propri comportamenti istintivi. Il soggetto vuole vivere istintivamente, ma ha bisogno, vista la propria intelligenza ed esperienza, di un contenitore così complesso che possa nascondere le incoerenze della propria vita. Quindi valutate la coerenza delle idee e dei comportamenti prima delle frasi a effetto di aspiranti maestri.
Le differenze
Le differenze principali fra Zen e Well-being sono sostanzialmente le seguenti:
La sofferenza - Per lo Zen (e per il buddhismo) la strada è la seguente: presa di coscienza che la sofferenza esiste; comprensione del fatto che la sofferenza può essere superata se la si accetta e riconosce; comprensione del fatto che le cause della sofferenza sono proprio nell'ignoranza e nell'attaccamento ai bisogni, alle cose, ai desideri; pratica quotidiana per liberarsi dagli attaccamenti, e vivere sereni superando e vincendo la sofferenza. Per il Well-being la sofferenza esiste, ma è uno stato che nasce a posteriori da scelte errate, non necessariamente derivanti dall'attaccamento a qualcosa (si pensi al caso di un matrimonio "sbagliato"): la salute (spesso influenzata anch'essa dalla comprensione della realtà) e la comprensione della realtà (il Well-being, appunto) sono le uniche cose che servono per arrivare alla felicità. La pratica sta nell'applicazione di ciò che si è compreso, non in una crescita interiore (che comunque ovviamente non è condannata).
La felicità - Per il Well-being nelle civiltà avanzate uno stato di felicità continua non è un'illusione, anche se pochi ci arrivano. Lo Zen si ferma alla serenità; per il Well-being è necessario andare oltre e non limitarsi ad accettare i momenti felici che ci arrivano. Per il Well-being se non c'è felicità il cammino non è concluso, vuol dire che c'è ancora qualcosa da sistemare. È ovvio che questa presa di posizione è tipicamente occidentale e va gestita correttamente per evitare che si trasformi in un'inversione di rotta (non sono pienamente felice, allora sono infelice, invece di cambiare la mia vita e di gioire nella conoscenza ulteriore che mi porterà al cambiamento).
La difficoltà - Lo Zen non è per tutti anche se a tutti è teoricamente accessibile. Chi non ha una mentalità orientata all'approfondimento filosofico dei problemi dell'esistenza non è in grado di fare molta strada. Le poche persone che ho conosciuto che affermavano di essere Zen o buddhiste in realtà non avevano capito granché (tutte, tranne Speciani) e si limitavano a giustificare la loro vita, le loro sofferenze, le loro scelte con atteggiamenti Zen-like che erano in sostanza anti-Zen. Il Well-being usa regole chiare, a volte spietate, che si possono contestare o rifiutare, ma che non si può dire di non aver capito. In quest'ottica è praticamente accessibile a tutti.
La meditazione - Per il Well-being l'attuazione della capacità d'amare ha le stesse finalità della meditazione. La ricerca profonda dell'io si può fare correndo, giocando a scacchi, suonando il pianoforte ecc. Sono anche scettico sui possibili risultati perché non ho mai conosciuto nessun occidentale fra chi mi diceva praticare la meditazione che fosse una persona equilibrata e senza problemi: ho sempre avuto l'impressione che la meditazione fosse una sorta di medicina da prendere per avere un giovamento esistenziale; questo giovamento il Well-being lo realizza attraverso la capacità d'amare, in modo molto più semplice. La meditazione deve essere praticata seriamente; pochissimi ci riescono e quindi mi sembra veramente che sia una disciplina per pochi. Il fascino che può suscitare è solo legato alle sue potenzialità (e al mistero dell'Oriente) che però non possono essere traslate nella popolazione. Banalizzando: se una persona è felice è pensabile che "perda tempo" a meditare? Impiegherà il proprio tempo a seguire ciò che ama.
Il giudizio - La grande tolleranza dello Zen passa anche nella sostanziale critica del giudizio ("Chi sono io per criticare?"). Per il Well-being ogni conoscenza passa attraverso un giudizio (del resto appena si apre bocca si emette un giudizio). Fondamentale è la consapevolezza che il giudizio deve essere rivedibile. Chi si cristallizza in un giudizio definitivo senza avere la predisposizione a cambiarlo è "morto", inerte. La predisposizione a un giudizio dinamico è alla base di una tolleranza concreta.
Il rapporto fra mente e corpo - Per lo Zen sono "fratello e sorella", tendendo alla fusione completa fra mente e corpo. Per il Well-being sono madre e bambino. La madre deve ascoltare il figlio, ma deve mantenere quella razionalità che consente di educare il bambino. L'esempio più semplice è quello dell'appetito. Se la mente ascolta i messaggi del corpo e li farà propri, nel 90% dei casi il soggetto si ritroverà sovrappeso. Non appare convincente attribuire la colpa del sovrappeso all'incapacità di ascoltare il corpo a causa di una cattiva coscienza alimentare. Per un soggetto in sovrappeso il messaggio che viene dal corpo è chiaro: voglio mangiare! Per il Well-being il corpo deve essere educato dalla mente.
Il meccanismo (bloccato in una minoranza della popolazione da stimoli ormonali o psicologici, come lo stress, -infatti in vacanza di solito mettono su qualche chilo-, ma il ragionamento va fatto sulla maggioranza delle persone) è questo:
• Il corpo (rimasto evidentemente indietro nei secoli, con una visione primitiva che piace a molti orientali) dice: "cerca il cibo, ho finito di digerire quello precedente; se ne trovi altro lo immagazziniamo per tempi peggiori".
• Il sistema va in crash perché oggi il cibo si trova troppo facilmente (e quello che si trova è calorico).
Basta considerare un soggetto che si alza alle 7 di mattina e va a dormire alle 23. Calcolando i tempi della digestione e fornendogli alimenti digeribili (tipo carboidrati) è banale fargli assumere il doppio delle calorie necessarie per mantenere un peso decente. Per esempio un soggetto di 70 kg può assumere 400 kcal ogni due ore. Infatti dopo un'ora avrà digerito le precedenti 400 kcal e il suo corpo richiederà altro cibo. In 16 ore assumerà 3.200 calorie! Se è un sedentario, magari quarantenne, è spacciato! Ecco che deve intervenire la mente per correggere la situazione: scegliendo cibi adatti e gestendo lo stimolo della fame.
Alcuni sostengono che in realtà il soggetto non sente il controstimolo della sazietà che comunque il corpo invia. Messo in termini generali, il controstimolo esiste, ma non è temporalmente e quantitativamente uguale per tutti. Nella maggioranza delle persone arriva quando ormai si sono introdotte troppe calorie. E non parlo solo di bombe caloriche. Se il soggetto va al ristorante e mangia un primo, un secondo e un dolce (anche ipocalorici) non è affatto sazio e non ha nessun controstimolo, anzi spesso gli sono serviti come stuzzichino. Il vero problema è che, se un soggetto è positivo e ama il cibo, il controstimolo difficilmente arriva!
Se ci si costruisce una coscienza alimentare,  invece della sazietà, si impara a controllare (con la mente) il senso di fame e a utilizzarlo per apprezzare ancora di più il cibo. Certo non sono d'accordo per optare per una soluzione "ascetica" dove mi sento sazio mangiando poco e frugalmente: mi sembra una situazione troppo punitiva, leggermente anoressica.

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