Nel piacere sessuale c’è qualche cosa che lo collega al godimento di Dio?
a cura DI D. PICCHIOTTI
C. Jacobelli, seguendo le orme teologiche del doctor angelicus, S. Tommaso, dedica un libro al piacere carnale in quanto voluto da Dio: Risus Pascalis - Il fondamento teologico del piacere sessuale, Brescia, 2004, pp. 122ss.
La storia della spiritualità cristiana dimostra che sembrerebbe logico liberarsi della corporeità sessuata per avvicinarsi a Dio. Ma l’uomo è diverso dagli animali e Dio stesso dice, che la solitudine “non è un bene” (Gen 2,18). Allora perché l’ha fatto “solo”? Se ha bisogno di un “altro” che “gli sia simile”, perché non glielo ha dato fin dall’inizio? O questo serve a giustificare lo stupore sia dell’uomo che di Dio di fronte al panorama femminile? Per enfatizzare il suo fascino?
Nella Genesi è Dio che dà all’uomo e alla donna ciò di cui godono: “ed è molto buono”, perché discende da Lui, Bontà per essenza. Anzi: “a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1,27). La prima descrizione dell’uomo è il suo essere maschio-femmina. Il riconoscersi nell’altro, il sentirsi “completo” nell’altro fa sperimentare una gioia così traboccante che fa esclamare: “Questa sì è osso delle mie ossa e carne della mia carne!” (Gen 2,23). Il grido di Adamo diventa più esplicito nel Cantico dei cantici: “Come sei bella, amica mia, come sei bella […] con un solo sguardo mi hai fatto impazzire!” (Cn 1,15; 4,9). L’uomo, unendosi alla sua metà, ritrova tutto se stesso attraverso il complemento, di cui la sessualità diventa il mezzo. “Il racconto della Genesi introduce nel mondo la gioia attraverso il piacere della diversità sessuale della coppia umana” (99). Dio si compiace di quello che è uscito dalle sue mani, si commenta, dicendo bene del sole, delle stelle, degli animali e degli insetti della vita, della fecondità, del sesso, dell’uomo e della donna, tanto che la bontà e l’eccellenza delle creature Lo esaltano.
L’interpretazione classica vede la somiglianza con Dio nelle doti più nobili: memoria, intelletto, volontà. E’ una visione riduttiva che divide l’uomo in una parte nobile e una meno nobile. Per la Bibbia “L’uomo e la donna non si uniscono innanzitutto per procreare dei figli, ma per incontrarsi in quell’unica dimensione in cui, grazie alla sessualità, si rivela qualcosa di quella profondità ultima della vita umana cui Dio la chiama ad essere” (Fuchs E., Desiderio e tenerezza. Fonti e storia di un’etica cristiana della sessualità e del matrimonio, Torino 1984, 42, 46).
La relazione tra Jahwé e Israele viene espressa con il linguaggio del godimento sessuale: “come gioisce lo sposo della sua sposa, così il tuo Dio gioirà di te” (Is 62,4-5). Osea non ha paura di usare il verbo che esprime il rapporto sessuale: “Io ti unirò a me per sempre: ti unirò a me nella fedeltà e tu conoscerai Jahwé” (Os 2,21-22). L’uso dei termini che si riferiscono al godimento indicano la sacralità attribuita al piacere sessuale, il quale può diventare “mezzo privilegiato per cogliere qualcosa dell’infinito di Dio” (102). L’amore del Cantico dei cantici “è amore gratuito, senza alcun altro fine che l’amore in se stesso, come l’amore di Jahwé che trae Israele dall’Egitto” (Dt 7,7-8).
I mammiferi appena nati si impadroniscono della mammella da cui dipende la loro sopravvivenza, l’uomo ha bisogno di una mano che porga il seno. Nel soddisfare questo bisogno primario prova piacere: sopravvivenza e piacere finiscono per coincidere. Lo stesso avviene nel rapporto sessuale: l’uomo si completa “attraverso la mediazione di un altro, così come attraverso la mediazione di un altro riesce a sopravvivere” (103). Attraverso questa capacità di relazione l’uomo diventa se stesso. Viene alla luce per mezzo di altri, ma si fa uomo quando è per l’altro. Non che sia l’istinto a fare dell’uomo una persona, ma la sua capacità di entrare in relazione con gli altri, soprattutto attraverso la relazione affettiva che lo spinge fuori di sé alla ricerca di qualcuno da amare e dal quale essere amato. Per S. Tommaso l’uomo è relazione come Dio è pura relazionalità (Cf Summa Theologiae, I. q. 28, a.2, I, q. 60, a. 2).
Il godimento è totale e vero quando tutto il proprio essere è donato, travasato nell’altro, in una gioia che è, prima di tutto, comunicazione tra persone: “Io sono per te, tu sei per me, io sono consapevole di donarmi a te, tu di donarti a me”. In una unione d’amore il corpo diventa strumento, espressione, linguaggio di due persone “che si comunicano la profondità del proprio essere: man mano che il rapporto si svolge, ai amplia, raggiunge il suo culmine, è tutto l’essere che parla, che dice chi è, entrando in una comunicazione totale in cui tacciono le parole per dare spazio alla trasparenza più completa; l’orgasmo è un grido muto di svuotamento totale: “ecco, ti ho detto tutto”. E in quel dirsi che trascende infinitamente il darsi di cui costituisce la sostanza, in quell’attimo in cui sembrerebbe annullarsi, l’uomo sente di acquistare la pienezza di sé” (106).
Questo godimento, portando l’uomo a vedersi attraverso l’uscita da sé e l’entrata nell’altro, lo fa affacciare sull’infinito. “Nessun altro piacere donato all’uomo è in grado di portarlo oltre il proprio spazio corporale e oltre il momento che sta vivendo. Nell’orgasmo scaturito dall’amore lo spazio e il tempo si dissolvono e l’uomo sfiora l’infinito. […] L’infinito sfiora l’uomo attraverso il dono di un altro essere umano. E l’uomo sa che è l’altro a fargliene dono. Se nel rapporto sessuale incontra il proprio limite, il proprio bisogno ontologico dell’altro – “non è bene che l’uomo sia solo” - , sfiora però anche l’infinito che è chiamato a vivere; si trova portato, sospinto fino alla soglia della propria trascendenza. E la gratitudine prorompe, spesso, in un pianto che esprime ciò che le povere parole non saprebbero mai dire. E diviene creatività. La creatività del piacere. Il bisogno immenso di ridonare ad altri qualcosa di quella pienezza ricevuta” (107). Nel momento in cui la coppia esprime il massimo della vitalità, ognuno dei due si trascende nell’accoglienza dell’altro. E’ in questo dare-ricevere, che si fa esperienza della pienezza del proprio essere. “Nel godimento sessuale l’uomo non solo trascende la propria individualità, ma, affacciandosi sul mistero dell’altro, sfiora il mistero di Dio” (109). “Che cos’è l’amore? L’amore dell’uomo e della donna. Due corpi. Due sessi. Due corpi che si avvolgono e si penetrano. Che cosa c’è di più preciso dell’orgasmo, di più situato? E’ con lei, perché è lei; è con lui, perché è lui. […]. L’amore fa festa soltanto con il piacere […] Che cosa, più dell’orgasmo, porta al di fuori di se stesso e al di là dell’altro? […] L’orgasmo, figura privilegiata dei mistici per dire l’istante che li apre all’infinito nel momento stesso in cui li inchioda sul posto. Spazio aperto. E situato. Aperto e situato mediante il corpo. Il corpo che non occupa spazio che egli apre all’infinito” (Pohier, 67-68).
Già 8.000 anni fa per lo Shivaismo la gioia dell’incontro sessuale “è la cosa che più d’ogni altra sulla terra può dare all’uomo l’idea non solo della felicità ultraterrena, ma anche della sua natura divina; la natura dell’Essere assoluto è la gioia, che differisce da quella degli amanti solo perché dura eternamente, ma la sostanza è la stessa. Non solo è l’immagine del divino, ma ne è l’esperienza, la realizzazione. Queste voci dicono che attraverso il piacere dell’uomo è possibile cogliere qualcosa di Dio. Esso considera il piacere di grande importanza per lo sviluppo dell’essere spirituale, e san Tommaso dirà che dilata il cuore dell’uomo.
Corporeità dell’uomo, trascendenza di Dio
I due poli, Dio e l’uomo, spesso sono stati visti in termini di antitesi con linguaggio antropomorfico, dicendo quello che Dio non è: l’uomo ha corpo, Dio è puro spirito; l’uomo mortale, Dio eterno; l’uomo peccatore, Dio santità per essenza. La sessualità umana sembrava in antitesi assoluta con la trascendenza divina, fino al punto che viene messa tra le forze cattive dell’uomo, il cui uso, tollerato come peccato veniale ai fini della procreazione, era la prima cosa da eliminare da chi volesse vivere una vita più perfetta. Infatti, fin dall’inizio, la Chiesa non vede la sessualità in chiave positiva. Girolamo ne ammette l’uso in funzione della procreazione. Agostino: “Quanto a me, penso che le relazioni sessuali vadano radicalmente evitate. Ritengo che nulla avvilisca lo spirito dell’uomo quanto le carezze di una donna e i rapporti corporali che fanno parte del matrimonio” (Soliloquia, I. 10,17. PL, 32,878). Ambrogio: “Adesso [dopo la caduta] benché il matrimonio sia buono, implica certe cose per cui perfino le persone sposate arrossiscono di loro stesse” (Exhort. Virgin., 6,36, PL 16,362). Nel 1729, p. Busembaum sostiene che, unico fra tutti i vizi capitali, la lussuria “Va direttamente contro Dio”: “est mortalis ex genere suo”.. (cf Medulla Theologiae Moralis).
Troviamo alcune voci fuori dal coro: Ireneo vede l’uomo immagine di Dio proprio in quanto carne, in riferimento al Verbo incarnato che è l’immagine perfetta di Dio: “quando il Verbo di Dio si fece carne […] mostrò realmente l’immagine, diventando egli stesso quello che era la sua immagine” (Adversus haereses, 5,12,12). Per Tertulliano: “la carne è il cardine della salvezza. Infatti se l’anima si fa totalmente di Dio, è la carne stessa che lo rende possibile. La carne è lavata affinché l’anima sia pulita; la carne è unta affinché l’anima sia consacrata; […] la carne è nutrita dal corpo e dal sangue di Cristo affinché l’anima sia sazia di Dio” (De carnis resurrectionem, 8). (115)
“E’ possibile che l’uomo nell’interezza della sua realtà concreta e quindi nella sua sessualità, nel desiderio, nel godimento, sia immagine di un Dio trascendente? Se questo fosse vero avremmo trovato il perché della presenza del piacere sessuale nell’ambito sacro […] S. Tommaso tenta una teologia della sessualità: si può affermare che nella creatura ragionevole esiste un’immagine della Trinità increata per una somiglianza specifica; poiché in tale creatura si trova una emanazione del verbo mentale, ed una emanazione dell’amore da parte della volontà” (I, q. 93, a.6). “Se l’uomo è stato creato così com’è […] è perché Dio stesso è relazionale: è relazionalità pura, è Trino, è Amore donato-ricevuto-partecipato” (Durand G., Sexualité e foi. Synthèse de théeologie morale”, Paris 1983, 124).
“Dio ha fatto l’uomo a sua immagine; nei limiti della creaturalità lo ha segnato con un’orma divina che lo fa uscire da sé nel dire, nel conoscere, nell’amare. L’atto sessuale è anzitutto un dirsi, un porsi reciprocamente di fronte in una conoscenza che, pur attraverso il corpo, sfiora la trascendenza; dono immenso della trascendenza assoluta. Ognuno resta se stesso pur avendo consapevolezza di avere, per così dire, il proprio baricentro fuori di sé, nell’altro; di avere la propria autocoscienza non in sé ma nell’altro. Nell’atto sessuale si è uno nell’altro, ma il fatto fisico, genitale, quasi scompare nella stupenda consapevolezza della reciprocità totale di due presenze che sfiorano l’unità a livello del proprio essere più profondo, quando non è più possibile distinguere il corpo e lo spirito, ma tutto l’essere è impegnato nella sua interezza. Tutti gli amanti si sono detti: “Io sono te e tu sei me” (1).
L’atto sessuale è dono nell’amore e il senso profondo della sessualità è proprio questo: “essere una mediazione fondamentale della carità […] per cui è essenzialmente caritatevole, perché invita ad uscire da sé” (Durand, 126). Una carità che “non può avere una grandezza quantitativa, ma solo una grandezza qualitativa […] che si stabilisce anche in base all’intensità dell’atto” (I-IIae, q. 24, a.4); e nessun atto umano impegna così intensamente e completamente tutta la persona, quanto l’atto sessuale.
“In Dio, qualche cosa assomiglia al nostro ‘ti amo’, al dono di sé, all’amore realizzato, all’incontro affettivo, alla fecondità che genera, al prorompere della vita amorosa. Dio è amore donato, di una eterna fecondità. E’ Padre. In Dio, qualche cosa assomiglia all’accoglienza, all’unione realizzata, al prorompere delle forze che si incontrano. Dio è amore ricevuto di una eterna fecondità. E’ Figlio. In Dio, qualche cosa assomiglia alla vita che ribolle nei suoi fermenti vitali, al dinamismo che scaturisce, all’amore sempre rinnovato. Dio è amore diffuso, di una eterna fecondità. E’ Spirito, soffio divino” (Office de Catechèse du Quebéc, La force des rencontres. Hommes et femmes il les créa, Doc, pour l’éducateur, Montréal, 1976, 5). Quanto è distante il remedium concupiscientiae da questa visione del matrimonio ! Nella Genesi, la creatività dell’uomo immagine di Dio, ha i confini stessi dell’universo (Gen 1,26).
IL PIACERE
“All’atto sessuale è unito il piacere più intenso che sia dato all’uomo di godere. Anche un breve sguardo alla storia del pensiero cristiano ci può dire quali e quanti attacchi abbia subito il piacere del sesso.
Per Tommaso il piacere è un bene, una tensione propria di ogni esistente che, essendo in potenza, tende al suo atto; ed è a sua volta originato da un bene: non c’è godimento vero che da un bene non derivi. Bene in se stesso, originato da un bene, il piacere è anche causa di bene ulteriore. Infatti il godimento è intimamente legato all’atto: non solo è un’operazione che perfeziona l’atto stesso, ma è la bontà del godimento a causare in qualche modo la bontà dell’operazione stessa. Tommaso ha precorso i tempi: le scienze psicologiche oggi ci dicono che saper godere è una capacità dell’uomo che ha raggiunto la maturità del proprio Io ed è capace di vivere il piacere senza farsene schiavo né avere complessi di colpa; ma già da molti secoli l’Aquinate aveva detto: “l’abito virtuoso che inclina ad amare, a desiderare il bene che si ama, e a godere, è identico” (I-IIae, q.28, a.4). L’uomo non si scinde: Tommaso lo vede uno…[…]. [dei piaceri] “alcuni sono corporei, altri dell’anima; il che in sostanza è la stessa cosa […] e il bene sensibile è di tutto il composto umano” (I-IIae, q. 31, a.3)”. 124-125
Se non c’è distinzione fra i piaceri sensibili e spirituali, allora i vari sostantivi piacere, beatitudine, gioia, gaudio, appaiono non tanto indicativi di contenuti diversi, ma come una sovrabbondanza di termini utili per diversi approcci ad un argomento che ha un unico soggetto. Tommaso ha una visione biblica del piacere, non lo teme, anzi: “niente impedisce che un qualche piacere sia il massimo bene”. E il corpo non è affatto escluso, ma partecipa anche del godimento che l’anima può avere da Dio. Il testo dell’Aquinate è del più grande interesse per il nostro argomento: “Sebbene il nostro corpo non possa godere di Dio con la conoscenza e con l’amore, tuttavia possiamo arrivare alla perfetta fruizione di Dio con opere compiute col corpo. Ecco perché dal godimento dell’anima ridonda sul corpo una certa beatitudine […] e poiché il corpo è partecipe in qualche modo della beatitudine, può essere amato con amore di carità” (I-IIae, q.25, a.5) (2).
Il godimento di Dio
“Nell’atto sessuale compiuto nell’amore, l’essere umano, dandosi senza riserva all’altro, compie il più grande gesto di un amore che è carità: “l’amore verso Dio e l’amore verso l’uomo – infatti – sono identici nella specie […] hanno lo stesso abito di carità” (II-IIae, q. 24,a. 3) ed in questo massimo atto di amore-carità in cui impegna tutto se stesso, l’uomo gode del godimento più intenso e completo che la sua natura umana consente.
E Dio, carità per essenza, gode? Tommaso dice di sì: “Dio gode. In Lui, purissimo spirito, non ci può essere un godimento fisico, ma questa profonda esplosione di gioia quando ricade nell’uomo ha evidentemente una ridondanza fisica; per cui si può a buon diritto dire che la sessualità – con il piacere che comporta – ha la sua radice ultima in Dio. “Il godimento sessuale donato all’uomo si radica in ciò che lo costituisce nel profondo, nel suo essere creatura relazionale, nel suo entrare totalmente in comunione con l’altro, che è quanto di più vasto e profondo sia dato a creature limitate dalla fisicità. Il godimento di Dio, o meglio, il godimento che Dio è, sgorga dalla profondità divina della sua essenza trinitaria.
Quando 8.000 anni fa, la più antica religione del mondo affermava che il godimento sessuale può dirci qualcosa della natura di Dio, diceva una grande verità di cui non c’è da stupirsi, se siamo coerenti con la nostra fede nell’uomo fatto maschio e femmina, chiamato ad essere uno e ad aprirsi al mondo, immagine di un Dio che è Padre-Figlio-Spirito Santo nell’unità della divina natura” (130)
Nel rapporto compiuto nell’ amore “C’è un appagamento completo di tutto l’essere umano: è appagato il corpo in una sensazione indicibile di benessere; è appagata la psiche: i desideri e le aspirazioni sono come dissolti o compiuti in quel momento atemporale che racchiude il passato, il presente, il futuro; non solo è appagato il bisogno ontologico dell’uomo di entrare in comunione con l’altro, ma, nel momento culminante del rapporto, l’uomo va oltre l’altro e il suo mistero, aprendosi su qualcosa che lo trascende. E’ l’appagamento totale - psichico, fisico, affettivo - in un bene. Dalla pienezza raggiunta sgorga una gratitudine infinita che diviene creatività nell’effusione del bene raggiunto, la cui proprietà intrinseca è questo suo essere diffusivo” (133).
Giovanni Paolo II usa parole che, forse, raramente sono state pronunciate dai papi: “Nelle parole di Cristo sulla continenza per il regno dei cieli non c’è alcun cenno circa l’inferiorità del matrimonio riguardo al corpo, ossia riguardo alla essenza del matrimonio, consistente nel fatto che l’uomo e la donna in esso si uniscono così da divenire una sola carne […] Le parole di Cristo riportate da Mt 19,11-12 (come anche di Paolo 1 Cr, 7) non forniscono motivo per sostenere né l’inferiorità del matrimonio, né la superiorità della verginità o del celibato” (14.4.1982). Queste parole superano non solo una tradizione di quasi 20 secoli, ma anche le dichiarazioni di almeno tre concili, di cui l’ultimo – il concilio di Trento – afferma: "Se qualcuno avrà detto che lo stato coniugale deve essere anteposto alla stato di verginità o di celibato, piuttosto che unirsi in matrimonio, sia anatema”. Potrebbe quindi sembrare per lo meno anomalo il comportamento del pontefice che, nel suo magistero ordinario, cancella delle dichiarazioni conciliari (3).
Quanto alla discussione: perché Gesù di Nazaret è rimasto celibe?, “oso porre una riflessione che nasce dalla mia realtà di donna e di madre, ma che certamente è comprensibile da chiunque abbia amato profondamente un altro essere umano: chi di noi madri, chi di noi amanti, al contatto con il corpo del proprio figlio neonato o del proprio uomo non ha sentito il bisogno prepotente di farsene cibo? Chi di noi madri non ha desiderato di poter assorbire di nuovo quelle carni uscite da noi? Chi di noi amanti non ha nell’amplesso d’amore segnato con i denti il corpo del proprio uomo o della propria donna? “Ti mangerei di baci…” Chi non ha detto o sentito questa frase? Unire a sé l’amato in un’unione di assorbimento totale; divenire cibo, trasformarsi in vita; divenire nutrimento reciproco per vivere insieme nell’unione più completa, ancora più completa di quelle sessuale.
Se Gesù si fosse sposato, si sarebbe donato ad una sola donna, per un numero limitato di anni, in un luogo circoscritto di questo mondo e in un’epoca determinata; tutto il resto sarebbe rimasto “fuori”. Ma la forza prorompente dell’amore divino dell’uomo Gesù non avrebbe potuto accontentarsi: doveva darsi corporalmente a tutti, in ogni epoca: “Prendete, mangiate, Questo è il mio corpo […] per voi, per tutti”. Si è fatto cibo.
Come ogni amante vorrebbe poter fare” (140).
“L’uomo di oggi si pone di fronte al piacere per averlo e consumarlo, non per accoglierlo e farsene sorgente di crescita e di vita; non sa scorgere ciò di cui il piacere è segno, non sa vederlo nella sua intrinseca realtà capace di aprire l’uomo agli altri uomini fino alla soglia dell’assoluto” (144).
Atteggiamento diverso nei confronti del mondo
“Per troppi secoli il mondo è stato considerato un mezzo per giungere alla vera vita, e non il luogo dove Dio ha posto l’uomo per ricevere i suoi doni, per goderne e moltiplicarli; per troppo tempo è stato visto come “l’esilio” da cui sospirare alla patria , e non quel mondo che Dio ha tanto amato da dare il suo Figlio unigenito (Gv 3,16); per troppo tempo l’uomo è stato spinto verso una vita futura a prezzo di non vedere più il dono dell’unica vita che è nelle sue mani, a prezzo di non vedere più il valore della sua realtà umana già salvata da un Dio incarnato per amore” (148). All’alba della creazione, dalle mani di Dio esce Eva per il godimento di Adamo. E adam diviene is. Perché “ciò che viene da Dio non ci allontana da lui, ma piuttosto ci porta a lui” (I q. 65, a.1)” (150).
(1) Anche Gesù, in altro contesto, dirà: “Chi ha visto me ha visto il padre. Non credi che io sono nel padre e il Padre è in me?” (Gv 14,9s). “Il Padre è nel Figlio secondo l’essenza, perché il Padre è la sua essenza, e senza trasmutarsi comunica questa sua essenza al Figlio; e siccome l’essenza del Padre è nel Figlio, così anche il Padre è nel Figlio. Così pure il Figlio è nel Padre, perché è la stessa essenza che è il Padre” (I, q. 42, a. 5).
(2) “E’ l’unicità del composto umano, così fortemente affermata da S. Tommaso, il quale confidava ai suoi discepoli che talvolta, nel momento in cui più intensa era la sua meditazione delle cose divine, il suo corpo reagiva con la polluzione. Anche “s. Bonaventura parla di coloro che in “spiritualibus affectionibus fluxus maculantur”, e s. Teresa e s. Giovanni della Croce ne parlano esplicitamente. La psicofisiologia contemporanea ha d’altronde mostrato che i movimenti sessuali organici sono spesso la conseguenza di una potente emozione che si scarica attraverso tutte le possibili vie nervose” (Benirmaert L.). Questo dell’orgasmo, e, nell’uomo, della polluzione in concomitanza con una profonda esperienza spirituale, è un fenomeno più comune di quanto non si creda in persone che vivono un’intensa vita spirituale. “Anche le sensazioni, perfino il nostro prendere cibo “interessa” Dio, va riferito a Dio; nulla di quanto l’uomo ha può essere estraneo alla divina perfezione di cui è barlume; tutto va amato con amore di carità” (II-IIae, q.44, a. 6) [nota 53].
(3) “Si quis dixerit statum coniugalem anteponendum esse statui virginitatis vel coelibatus, quam jungi in matrimonio anatema sit” (sessione XXIV, comma 10); in Conciliorum oecumenicorum decreta, Bologna 1973, 755). Su questo argomento si veda l’articolo di Moioli G., Per una rinnovata riflessione sui rapporti tra matrimonio e verginità. I principali documenti del magistero, in Scuola Cattolica, 95, 3 (XCV) maggio-giugno 1967, 201-255, il quale sostiene che la dichiarazione del concilio di Trento non era necessariamente vincolante (139).
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