venerdì 7 dicembre 2007

Il parricidio: la soluzione platonica del contrasto tra il divenire e l'essere

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
(liberamente tratto da testi vari)


 Il parricidio: la soluzione platonica del contrasto tra il divenire e l'essere
Platone considera Parmenide tanto importante per la sua formazione da chiamarlo "padre": il maestro eleatico viene definito da Platone, "venerando e terribile" (nel Parmenide), tanto che quando si accingerà a formulare una nuova teoria dell'essere in polemica con il maestro, Platone definirà la sua posizione come un parricidio. In cosa consiste, dunque, questo parricidio?
Parmenide (per il quale l'essere è sempre, mentre il non-essere non è mai) afferma che le cose del mondo sensibile sono opinione e falsità, ovvero il loro mutare, il loro divenire, è un'illusione, poiché l'essere non può divenire e trasformarsi in cose diverse, questo infatti comporterebbe la possibilità che l'essere non sia più identico a se stesso, sia altro da sé (si veda il capitolo su Parmenide). Ma l'innegabile mutare delle cose del mondo, il loro divenire, è così evidente che per Platone occorre salvare questa evidenza e trovare un punto di incontro tra il divenire e l'essere immutabile parmenideo.
Per fare ciò, nel Sofista, Platone elabora il concetto di essere relativo, fatto salvo però anche il concetto di essere assoluto. Platone non può che essere d'accordo con Parmenide nel caso ci si riferisca all'essere assoluto: questi non potrà mai essere qualcosa diverso da sé, ovvero l'essere assoluto non muta e non diviene.
Ma nel caso dell'essere relativo il ragionamento di Platone è il seguente: una cosa può mutare dallo stato di essere una certa cosa a uno stato di non essere più quella certa cosa, essendone comunque un'altra. E' infatti impossibile che una cosa non sia: il non essere si riferisce allora solo al non essere più qualcosa che in realtà è comunque un'altra, con riferimento al mutare delle forme. In pratica, l'essere può mutare solo perché diventa un altro essere, non cade nel nulla ma cambia forma. 
Nel concetto di essere relativo, l'esistenza del molteplice implica l'esistenza del non-essere non come opposto assoluto all'essere, ma come diverso dall'essere assoluto.
In sostanza, l’ontologia di Platone tende ad unificare il divenire e l’essere in un’unica teoria filosofica, anche se salva la dicotomia fra i due concetti. All’essere compete l’anima e il mondo delle idee, al divenire la doxa e il corpo. E’ chiaro che all’essere attribuisce un valore di immutabilità e di archè, mentre al divenire attribuisce un valore di mutabilità, corruttibilità e fallacia.

10. La concezione dello Stato in Platone
Larga parte del lavoro di Platone è dedicata alla riflessione su una teoria politica destinata, nell'intenzione, ad essere applicata nella costruzione di uno stato ideale, uno stato che sia la realizzazione pratica di quel bene e di quella giustizia che sono così perfettamente rappresentati nell'Iperuranio. E' nella Repubblica che espone il suo progetto politico: l'idea è che se la verità deve guidare il sapiente e il giusto nella formazione dei suoi concetti, tale verità deve avere necessariamente anche un carattere pratico.
Tutto questo discorso conduce inevitabilmente all'affermazione platonica che la filosofia e i filosofi devono guidare lo Stato: se lo Stato deve infatti rappresentare la verità, solo i filosofi che si rivolgono alla verità dell'Iperuranio e non all'opinione del mondo sensibile possono mettersi alla guida delle istituzioni, in quanto, conoscendo meglio di altri la verità, possono realizzare concretamente e al meglio i concetti della pura giustizia e del bene comune. La Repubblica platonica è considerato il primo esempio di utopia politica, tra gli lo scopi dello stato platonico vi è quello di avvicinare alla conoscenza della verità delle idee la comunità dei cittadini.
Quella che segue è la descrizione per sommi capi della struttura dello Stato proposta da Platone.
Nella Repubblica ideale verrà necessariamente tenuto conto della diversa natura di ciascun uomo, l'anima di ciascun uomo è infatti partecipata in diversa misura da diverse idee che ne determinano l'originalità caratteriale: esistono quindi uomini tendenzialmente agricoltori, altri artigiani, altri ancora guerrieri e altri filosofi. Nello Stato ideale ciascuna tendenza naturale verrà distinta e raggruppata in classi immutabili, poiché se la natura di ciascuna anima è immutabile, sarà immutabile anche l'appartenenza degli uomini a una certa classe.
Le classi che devono guidare lo Stato sono, nell'ordine, i filosofi (coloro che posseggono più degli altri la verità) e i guerrieri (i militari che agiranno da garanti del volere dei filosofi e da difensori dai nemici esterni). Queste due classi governeranno le classi inferiori costituite dagli artigiani e dai contadini, le classi produttrici dei beni necessari alla comunità. Le classi dominanti, tuttavia, non dovranno preoccuparsi solo del proprio bene, ma del bene comune, cosicché verranno abolite tutte quelle occasioni che potranno invogliare i reggenti alla cupidigia (prima fra tutte, verrà abolità la proprietà privata, quindi la famiglia, le donne verranno messe in comune e l'educazione dei figli sarà pianificata dallo Stato secondo le diverse inclinazioni dei ragazzi).
La famiglia deve essere abolita in quanto ostacolo all'interesse comune, i padri e le madri, per amore dei figli, agirebbero arbitrariamente in loro favore (sarà abolito così il nepotismo). In uno Stato in cui non vi sono più nuclei familiari, il compito di generare figli spetterebbe quindi alle donne liberate da ogni legame, esse genereranno figli abbinate casualmente e periodicamente a uomini diversi, i figli stessi saranno, appena nati, espropriati ai genitori e cresciuti dall'intera comunità. Essi non verranno a sapere da chi sono nati e chiameranno padre e madre ogni uomo e ogni donna della comunità.
L'educazione dei ragazzi seguirà tappe precise: ad essi, come al resto della comunità, verranno proibiti i contatti con l'arte e con la poesia, colpevoli di proporre imitazioni fuorvianti del mondo delle idee (gli artisti imitano il bello allontanando gli uomini dal vero concetto del bello) e di condurre gli animi all'eccessiva contemplazione delle forme sensibili. I ragazzi saranno educati allo sviluppo del corpo e dell'anima, attraverso le discipline militari e quelle musicali (musica era chiamata ogni disciplina avente per oggetto la crescita dello spirito). Essi saranno poi atrribuiti alle classi secondo le proprie inclinazioni naturali.
Lo Stato di Platone è un'aristocrazia, un dominio dei migliori (e i migliori sono i filosofi). Se, a prima vista, la Repubblica platonica sembra avere i tratti dispotici dello stato spartano, Platone ci ricorda che non è così, in quanto lo stato spartano è una "timocrazia", ovvero il dominio dell'ambizione. Tale dominio porta all'oligarchia, al dominio di pochi, per poi essere destinata ad entrare in crisi e sfociare naturalmente nella democrazia, l'abolizione dei privilegi degli oligarchi e il ritorno alla partecipazione dei cittadini. Infine, sempre secondo Platone, la democrazia tenderà alla tirannide, ovvero l'arbitrio assoluto di un solo reggente che deciderà senza alcuna idea di verità circa la vita e la libertà dei suoi sudditi. Lo Stato platonico differisce dalle altre forme storiche di stato perché in esso le regole istituzionali sono espressione della struttura autentica della realtà: tutto, nello Stato platonico, tende a realizzare la vita in conformità alla verità iperuranica, specchio della struttura stessa del cosmo. Dunque la libertà consiste nell'essere liberati dall'ignoranza e nella vita in conformità alla legge della verità.

Nessun commento: