domenica 22 giugno 2008

Niccolò CUSANO (1401-1464)

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

Niccolò Cusano (Nikolaus Chrypffs o Krebs) nacque nel 1401 a Cues, in Germania, non lontano da Treviri. Le cronache ci dicono che studiò diritto ad Heidelberg e matematica a Padova (dove si laureò), quindi a Costanza, dove si diede alla teologia. Partecipò al Concilio di Basilea, che aveva per scopo l'unificazione della chiesa latina con quella greca, a motivo di ciò fu mandato in Grecia, dove ritornò carico di testi neoplatonici e con una buona conoscenza della lingua (dal soggiorno trasse le idee per la sua dottrina filosofica). Fattosi prete nel 1426, nel 1448 divenne cardinale, quindi, nel 1450, fu nominato vescovo di Brixen (Bressanone), dove fece in tempo a farsi anche qualche anno di carcere in seguito a un contenzioso aperto con il duca del Tirolo, Sigismondo. Nel 1458, Pio II gli affiderà l'amministrazione degli Stati Pontifici, e morirà presso Todi nel 1464, in procinto di preparare una crociata promossa dal Papa contro i Turchi.
Opere: La dotta ignoranza (1440), sua opera principale, Le congetture (1445), L'Idiota (1450), Il gioco della palla (1463).
Sommario
1. La dotta ignoranza e i limiti della conoscenza
2. Coincidentia oppositorum
3. Il ruolo dell'uomo nel mondo
1. La dotta ignoranza e i limiti della conoscenza
Rispolverando un antico adagio socratico, Cusano afferma: “quanto meglio uno saprà che non si può sapere, tanto più sarà dotto.” Si stratta di una riflessione gnoseologica (che riguarda i modi della conoscenza) che trae origine dal tentativo di definire una proporzione tra il noto e l'ignoto. Cusano osserva come tutto ciò che si può conoscere lo si conosce proprio in ragione di una relazione che si può instaurare con il conoscibile e tuttalpiù sulla base del già conosciuto.
La matematica, di cui Cusano è studioso, permette di squarciare i veli dell'inconosciuto perché i suoi principi sono direttamente correlati tra loro, secondo una stretta necessità. Ma le cose si fanno più sfuggenti quando si tratta di partire alla scoperta di un essere così lontano e sconosciuto come Dio. Si faccia l'esempio della circonferenza: essa può essere definita come il prodotto di un poligono dai lati infiniti, ma ben sappiamo come il concetto di “infinito” non possa mai dirsi “finito”. Iscrivendo in una circonferenza un poligono e aumentando sempre più il numero dei suoi lati, noi ci avvicineremo sempre più alla perfezione del cerchio, pur non arrivando mai a far coincidere esattamente il poligono con la circonferenza stessa.
Questo è il rapporto che intercorre tra essere umano finito ed essere divino infinito: la conoscenza dell'essere assoluto sfugge necessariamente alla limitatezza propria dell'essere finito, l'uomo non potrà mai dirsi vero conoscitore di alcun concetto assoluto. Ecco quindi che solo il dotto (il sapiente), proprio perché è dotto, ha compreso come l'uomo sia comunque ignorante in rapporto alla Verità assoluta dell'essere divino, perfezione naturalmente irraggiungibile dagli uomini, in quanto esseri impossibilitati ad emulare la perfezione di Dio.
Dunque risulta chiaro come siano forti in Cusano le influenze neoplatoniche, conseguenti alla riscoperta dei testi antichi non interessati dalla rivisitazione medievale, una riscoperta che Cusano, con il suo viaggio in Grecia, contribuì ad alimentare.
2. Coincidentia oppositorum
Solo nella consapevolezza dei suoi limiti la conoscenza umana è valida, e questo è, come abbiamo visto, l'assunto della dotta ignoranza, dunque l'unico modo per avvicinarsi alla Verità è in principal modo riconoscere l'impossibilità di raggiungerla pienamente. Una volta stabilito dunque il rapporto di assoluta alterità che sussiste tra Verità divina e possibilità della conoscenza umana, Cusano deve pur sempre trovare un modo per rimetterle in relazione tra loro, pena la palese inutilità di ogni discorso di “scienza”: la conoscenza è dunque per Cusano una “congettura”, cioè un partecipare alla Verità, non tanto la Verità stessa, ma un lento avvicinarsi ad essa.
Per Cusano, Dio è coincidenza degli opposti (coincidentia oppositorum). Dio è il massimo assoluto, e dunque anche il minimo assoluto, Dio è ogni cosa, e in particolare è tutto e il contrario di tutto: il caldo e il freddo, l'alto e il basso, la luce come il buio. Tutto ciò che è stato creato conviene a Dio, nulla può essere estraneo al suo essere. Per cui in Dio convive l'unità delle cose come la loro differenziazione e la loro molteplicità, Dio è quel luogo in cui i contrari coincidono. Mentre dunque l'uomo è perlopiù soggetto alla legge del principio di non contraddizione (una cosa non può essere allo stesso tempo anche il suo contrario), in Dio anche questo principio si risolve, un superamento del principio di non contraddizione che ll'intelletto limitato degli uomini non può comprendere appieno.
Dio è somma alterità, per cui il suo essere può essere solamente intuito per mezzo della congettura, ma mai abbracciato pienamente in tutti i suoi aspetti (Dio è la circonferenza la dove l'uomo è il poligono che sempre si avvicina pur mai coincidendo). All'uomo è concessa dunque la possibilità di un avvicinamento perpetuo alla Verità, che tuttavia non potrà mai essere compresa interamente, vista la natura finita dell'essere umano: Dio rimane al di sopra di ogni cosa, intuito e perfetto, la dove l'uomo può essere solo perfettibile.
3. Il ruolo dell'uomo nel mondo
Di fronte all'impossibilità di definire in modo certo la natura infinita di Dio, l'uomo diventa uno spettatore della Creazione, ma non uno spettatore passivo. L'uomo è il fine ultimo della Creazione, creato per riconoscere il valore divino della Creazione stessa (una sorta di processo teofanico).
Dio si può avvicinare seguendo la strada della teologia negativa (definendo ciò che Dio non è) oppure seguendo la strada della teologia positiva (affermando che Dio è l'infinito), la terza via è la parola di Cristo, la fede, la volontà di credere in ciò che è scritto nelle Sacre Scritture.
Ma Cristo è anche Dio, quindi la sua infinita perfezione divina è per l'uomo motivo di imitazione terrena. In questo processo di imitazione l'uomo sperimenta le possibilità della sua perfettibilità, del suo continuo tendere al miglioramento. Questa tendenza deve necessariamente sfociare, sul piano civile, in una etica del dialogo tra gli uomini, conseguenza naturale della perfettibilità umana. Il dialogo, data la sua capacità di mediare tra le diverse istanze morali e politiche, è l'unica forma di ricomposizione dei dissidi che garantirebbe l'idea di quella coincidenza degli opposti che dal piano teoretico verrebbe trasmessa sul piano pratico, associata al tentativo di realizzarla a livello sociale.
ref. Storia della Filosofia, Nicola Abbagnano

Nessun commento: