domenica 15 giugno 2008

IL CINISMO

a cura DI D. PICCHIOTTI

Col nome di cinici vennero chiamati un gruppo di pensatori che seguivano l'insegnamento di Antistene di Atene (IV° secolo a.C.). Antistene è il fondatore riconosciuto della scuola, anche se il cinismo si presenta più come movimento eterogeneo che come dottrina strutturata (il suo più famoso esponente fu Diogene di Sinope, il quale anteponeva l'esempio pratico alla teoria, tanto che non lasciò nulla di scritto, similmente a Socrate).
Incerta la provenienza del nome: alcuni sembrano farlo derivare dal luogo in cui insegnò Antistene, il Ginnasio Cinosarge ("dell'agile cane"), altri lo fanno derivare dall'aggettivo canino, per le analogie che si vennero a creare tra lo stile di vita dei cinici e quello dei cani (e "cane" fu soprannominato Diogene). Chiara è la sua derivazione socratica, tanto che i cinici vengono usualmente annoverati tra i socratici minori.
Sommario
1. L'autarchia e la vita naturale
2. Diogene di Sinope: l'uomo che visse in una botte
3. Vivere la filosofia

1. L'autarchia e la vita naturale
Anche per i cinici, come per tutti i socratici, l'obiettivo della vita era il raggiungimento della virtù. Ma la virtù non la si raggiungeva inseguendo gli onori, la ricchezza e lo status sociale, piuttosto, la virtù la si poteva raggiungere solo eliminando tutto il superfluo che allontanava gli uomini dalla vita vissuta in modo naturale. Per questo il saggio cinico cercava di vivere seguendo l'esempio degli animali, e in special modo dei cani. L'incivilimento era considerato dai cinici un allontanamento dalla vita naturale, motivo di corruzione morale, fonte di male (forti le analogie con il mito del buon selvaggio).

Il cinico era prima di tutto un autarchico, cioè bastava a se stesso, poneva al centro l'uomo (e se stesso) prima ancora della società. Si può considerare il cinico come l'archetipo del moderno anarchico, del contestatore, quando non addirittura l'ispiratore della “filosofia” punk. Il cinico infatti rifiutava l'incivilimento, e con esso l'autorità politica, le tradizioni e le convenzioni sociali, il tutto condito con una buona dose di individualismo.

Famose erano le diatribe, ovvero delle filippiche, delle prediche morali contro le opinioni correnti che prendevano di mira anche le altre scuole filosofiche, in particolar modo epicurei e scettici, tratteggiati con sarcasmo dissacrante, in modo da disinnescarne la solennità. Per il cinico il tratto fondamentale dell'uomo era la sua “animalità” istintiva e non mediata, quel tratto che più lo avvicinava alla sua essenza, eminentemente naturale.
2. Diogene di Sinope
Il saggio cinico più noto, colui il quale è passato alla storia per il suo atteggiamento sprezzante e irriverente, è senz'altro Diogene di Sinope. Vissuto ad Atene dal 413 al 323 a.C., la leggenda vuole che abitasse nudo in una botte e che girasse nottetempo con una lanterna, a sua detta, per cercare l'uomo. L'unica cosa che possedeva era un mantello logoro e una ciotola per bere, di più non gli bastava per essere felice. Mangiava e beveva quello che trovava, viveva all'ombra degli alberi, dormiva sotto il cielo stellato. Un clochard ante litteram, animato dalla ricerca della semplicità.
Applicando alla lettera l'uso autarchico, viveva con il minimo di "comfort" possibile, eliminando ogni cosa che non fosse necessaria, conduceva una vita da randagio e derelitto, ai margini della società. Di ciò non se ne curava, sapeva che l'insegnamento ultimo della vita di Socrate era proprio la ricerca dell'essenziale. Gli bastava vivere, e nient'altro. Si narra che avendo visto un cane abbeverarsi direttamente da una pozzanghera, gettò via anche la ciotola che possedeva, perché si era reso conto che non era più necessaria.
Questo e molti altri aneddoti sono stati tramandati sul suo conto, tra questi la leggendaria visita che gli recò Alessandro Magno. Trovatolo disteso per terra, il conquistatore dell'Asia gli domandò di cosa avesse bisogno, avrebbe esaudito qualsiasi suo desiderio. Diogene gli rispose laconicamente di spostarsi perché gli faceva ombra.
E' a motivo di queste risposte caustiche e irriverenti che il termine “cinismo” verrà usato in epoca moderna per indicare un comportamento sprezzante nei confronti dell'autorità e dei principi morali.
3. Vivere la filosofia
Il cinismo non lasciò nulla di scritto, era contro l'essenza stessa del suo insegnamento. Tutto ciò che rappresentava un qualche incivilimento non interessava o era rifiutato, a maggior ragione la scrittura, prodotto di punta della civiltà. Ai cinici non interessava nemmeno l'indagine naturale, la logica, la scienza dei numeri, la politica, l'impegno civile. Forse gli animali ne facevano uso? Era necessario, tutto questo, per la sopravvivenza? I cinici pensavano senz'altro di no.
Ciò che interessava loro era l'atto stesso del vivere secondo virtù, non tanto predicare la filosofia, quanto viverla. Se Socrate aveva messo sopra ogni cosa la ricerca di sé, Diogene riteneva superflua ogni altra necessità, soprattutto l'affanno della civiltà e delle convenzioni sociali. Non vi era nulla di accademico ed aulico nel vero cinismo, solo l'imperturbabile capacità di vivere seguendo l'istinto naturale di sopravvivenza, il cinico desiderava essere in principal modo la realizzazione stessa della sua filosofia.
Scheda di Forma Mentis - Ultimo aggiornamento 01-04-2007
ref. Atlante filosofico, Ubaldo Nicola - Storia della filosofia, Nicola Abbagnano

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