venerdì 22 agosto 2008

La concezione materialistica della realtà

a cura DI D. PICCHIOTTI

Il sensismo radicale ed un continuo riferimento al "mondo esterno" non avevano spinto Condillac fino alla teorizzazione di una concezione materialistica della realtà, anzi lo inclinano verso uno moderato spiritualismo. Il materialismo che, in modo palese o adombrato, circolava in alcuni manoscritti clandestini dei primi anni del Settecento trova uno sviluppo adeguato soltanto nell'opera di Lamettrie, di Helvétius e di D'Holbach.
Julien Offroy de Lamettrie nacque a Saint Malo nel 1709; dopo la prima formazione umanistica studiò medicina ed esercitò la professione medica. A Leyda seguí corsi di specializzazione che gli fecero conoscere le piú recenti scoperte della biologia e della fisiologia. Con traduzioni di opere mediche e con contributi personali favorì l'ingresso in Francia di queste nuove dottrine. L'opera di rinnovamento della cultura scientifica gli costò amarezze e persecuzioni. In occasione della pubblicazione della Storia naturale dell'anima (1745) fu costretto a rifugiarsi a Leyda, ma anche da qui dovette allontanarsi dopo la pubblicazione de L'uomo macchina (1748) per trovare ospitalità presso Federico Il di Prussia che in quegli anni si atteggiava a sovrano illuminato. Nella sua prima opera vuole mostrare come tutte quelle attività che solitamente vengono definite "spirituali " e vengono attribuite ad una sostanza pensante diversa dalla sostanza materiale, in definitiva non sono che manifestazioni fisiologiche proprie della sostanza materiale. La materia, infatti, non coincide, come voleva Cartesio, con la sola estensione che aspetta di essere mossa da qualcosa ad essa esterna, ma è una realtà che, oltre all'attributo dell'estensione, possiede quelli del movimento e della sensibilità. La materia ha essa stessa la vita, e la manifesta in forme diverse a seconda della sua organizzazione nei corpi particolari. Da scienziato Lamettrie aveva proceduto a serie indagini anatomiche sul cervello che gli consentivano di concludere:
Nel cervello non vedo che materia, e nella sua parte sensitiva non
trovò che estensione: il suo interno - vivo, sano, ben organizzato - con-
tiene all'origine dei nervi un principio attivo diffuso nella sostanza midol-
lare. Questo principio, il quale sente e pensa, si affatica, si addormenta e si
spegne insieme al corpo. 
(Storia naturale dell'anima, X, 9)
Inoltre, lo studio del rapporto tra gli stati fisiologici del corpo e i fenomeni psicologici della mente mostrava chiaramente che i primi spiegavano in modo coerente e preciso i secondi e che, quindi, non c'era alcun motivo plausibile per far ricorso a qualche altra sostanza per spiegare e giustificare la vita spirituale:
Se tutto si spiega in base a ciò che l'anatomia e la fisiologia mi rive-
lano nel midollo, quale bisogno posso mai avere di formarmi un essere 
ideale? Se identifico l'anima con gli organi corporei, ciò avviene perché 
tutti i fenomeni mi costringono a pensare in questo senso. 
(ivi)
Proclamata la identità di anima e corpo, il termine anima può essere conservato solo a patto che con esso non si indichi una sostanza immateriale dotata di facoltà psichiche, ma la parte di materia che in noi pensa:
L'anima non è dunque altro che un vano termine del quale non si ha
alcuna idea e di cui un buon intelletto non deve servirsi se non per nomi-
nare quella parte che in noi pensa. Posto il minimo principio di movi-
mento, i corpi animati avranno tutto ciò che occorre loro per muoversi,
sentire, pensare, pentirsi, per comportarsi, insomma, nel fisico e nel morale
che ne dipende. 
(L'uomo macchina, 16 a cura di G. Preti Milano 1973)
L'uomo non è altro che una macchina autosufficiente che "carica essa stessa le proprie energie" e pertanto non va studiata come vogliono i cartesiani partendo da un principio a priori, ma come vogliono gli scienziati e i medici:
L'uomo è una macchina cosí complessa, che è impossibile farsene a 
prima vista un'idea chiara, e quindi definirla. Per questo tutte le ricerche 
che i piú grandi filosofi hanno condotto a priori, vale a dire volendo ser-
virsi in qualche modo delle ali dello spirito, sono state vane. Perciò è solo 
a posteriori, ossia cercando di svolgere l'anima per cosí dire attraverso gli 
organi del corpo che si può, non dico scoprire in modo evidente la natura 
stessa dell'uomo, ma raggiungere il massimo grado di probabilità che sia 
possibile su questo argomento.
(L'uomo macchina, 3)
E l'esperienza ci dice che l'uomo è una struttura meccanica cosí come gli animali e le piante. E le differenze di sensibilità e di intelligenza tra il primo e i secondi dipendono unicamente dalla diversa organizzazione della stessa materia. Un'organizzazione delle parti materiali nel corpo umano rende quest'ultimo adatto ad acquisire alcune capacità, come la struttura materiale dei corpi degli animali e delle piante li dispone ad acquisirne altre:
Ed in effetti da che cosa provengono l'abilità, la scienza e la virtù, se
non da una disposizione che ci rende adatti a divenire abili, sapienti e vir-
tuosi? E, a sua volta, da dove ci viene tale disposizione se non dalla natura?
E' soltanto grazie alla natura che abbiamo qualità degne di stima: le dob-
biamo tutto quello che siamo. 
(L'uomo macchina, 12)
Lamettrie confronta queste sue conclusioni con riferimenti ad esperienze mediche, a precise constatazioni scientifiche, con continui richiami alla fisiologia e alla anatomia:
Concludiamo dunque coraggiosamente che l'uomo è una macchina, 
e che in tutto l'universo c'è una sola sostanza diversamente modificata. 
Questa non è una ipotesi costruita a forza di problemi e supposizioni: non
è l'opera del pregiudizio, né della mia sola ragione: avrei disdegnato una 
guida che credo poco sicura, se i sensi, portando, per cosí dire, la fiaccola 
non m'avessero, con l'illuminarla, costretto a seguirla. L'esperienza mi ha 
dunque parlato a favore della ragione: e quindi io le ho congiunte insieme.
(L'uomo macchina, 18)
Sulla base di questo materialismo fisiologico Lamettrie costruisce un'etica naturalistica. L'uomo, per la struttura materiale del proprio corpo, è portato a desiderare il piacere e a fuggire il dolore cosí come tutti gli altri animali, anche se tende a godere di piaceri piú raffinati e sottili. Una simile tendenza all'edonismo non distrugge, però, un naturale istinto alla convivenza con i propri simili e non minaccia, quindi, la vita associata.
Lo scopo dichiarato dell'opera di Claudio Adriano Helvétius è quello di ricondurre alla sensibilità tutte le operazioni spirituali: ciò che noi chiamiamo attività intellettuale e morale trova il suo fondamento nelle condizioni fisiologiche e, quindi, materiali del nostro corpo. Helvètius nacque a Parigi nel 1715 da una famiglia di alta borghesia; giovanissimo occupò una carica importante nella amministrazione finanziaria dello stato. La pubblicazione del suo libro pìú importante, Dello Spirito, attirò su di lui e su tutto il movimento illuministico una condanna decisa che sfociò in una violenta persecuzione contro gli ambienti dei philosophes. Il libro fu condannato dal Parlamento di Parigi, dai dotti dell'Università della Sorbona e dall'autorità ecclesiastica in quanto, come scrisse l'arcivescovo di Parigi nella bolla di condanna,
contiene una dottrina abominevole, atta a rovesciare la legge naturale, 
a distruggere i fondamenti della religione cristiana; adotta come principio 
la dottrina detestabile del materialismo; distrugge la libertà dell'uomo; 
annienta le nozioni fondamentali di virtù e giustizia; sostiene massime 
totalmente opposte alla morale evangelica; sostituisce alla sana dottrina dei 
costumi l'interesse, le passioni, il piacere; mira a turbare la pace degli Stati, 
a rivoltare i sudditi contro l'autorità e contro la persona stessa del sovrano; 
favorisce gli atei, i deisti, ogni specie di increduli, e rinnova quasi tutti i loro mostruosi sistemi.
(cit. in Dello Spirito, a cura di A. Postigliola, Roma 1976, p. IX)
Due anni dopo la morte di Helvétius, avvenuta nel 1772, fu data alle stampe un'altra sua opera, Dell'Uomo.
Per Helvètius tutte le operazioni dello spirito consistono nella capacità di percepire i diversi rapporti esistenti tra i vari oggetti, e poiché questa capacità non è altro che la stessa "sensibilità fisica", se ne deve concludere che ogni attività spirituale, compreso il conoscere ed il giudicare, si riduce al sentire e si radica nella struttura fisica del corpo umano: razionalità e sensibilità sono tutt'uno. La materia, di cui sono formati tutti i corpi ha in se stessa la sensibilità e da questa sensibilità scaturiscono tutte le manifestazioni di vitalità degli individui ed in modo particolare degli uomini:
La sensibilità fisica è per conseguenza il principio dei suoi bisogni,
delle sue passioni, della sua socievolezza, delle sue idee, delle sue azioni ...
Un uomo è una macchina che, messa in moto dalla sensibilità fisica, deve
fare tutto ciò che segue. 
(Dell'uomo, II)
Le manifestazioni fondamentali della sensibilità umana sono la passione e l'interesse. Esse costituiscono "l'amor di sé" che condiziona tutti gli atteggiamenti umani e che si manifesta come ricerca del piacere ed avversione per il dolore. Su questo principio fondamentale sono costruite tutte le morali, anche le piú ascetiche e le piú spiritualistiche. Bene e male, in ogni sistema etico, stanno sempre al posto di utile e dannoso. Rispetto al singolo uomo bene è nient'altro che l'affermazione dell'"amor di sé" e male il suo contrario, rispetto alla comunità organizzata, bene sarà l'utile della società e male il suo contrario.
In ogni tempo e in ogni luogo, sia in materia di morale che in mate-
ria di spinto, l'interesse personale determina il giudizio dei privati, e l'inte-
resse generale determina il giudizio delle nazioni: in questo modo, da parte 
della collettività come da parte dei privati, è l'amore o la riconoscenza ad 
essere fonte di lode, ed è l'odio o la vendetta ad essere fonte di disprezzo.
(Dello Spirito, II, I)
Ora, poiché ogni uomo vuole esageratamente realizzare il proprio bene (leggi: il proprio utile) nel rapporto sociale, ognuno cerca di utilizzare gli altri per i suoi fini egoistici. In tal modo nelle società si è venuto a creare una disparità di condizioni per la quale pochi uomini utilizzano la rimanente massa per realizzare il loro utile personale. In che modo è possibile correggere questo stato di cose? Helvétius è convinto che non servono a nulla i discorsi e le prediche inneggianti all'eguaglianza e alla fratellanza tra gli uomini; bisogna intervenire, invece, sui meccanismi che determinano questa diseguaglianza per correggerli, bisogna cioè ricondurre "l'amor di sé " entro limiti piú ristretti in modo da far coincidere la virtù con il desiderio della "felicità generale", con "il bene pubblico".
Poiché alla formazione di un individuo concorrono due fattori, uno naturale e costante, rappresentato dalla materia sensibile uguale in tutti gli uomini, l'altro sociale e variabile, identificabile nelle condizioni ambientali, sociali, economiche e culturali in cui gli individui vivono; per indirizzare tutti gli uomini alla virtù bisognerà intervenire su queste condizioni socio-politiche. Ma per procedere alla modificazione di tali condizioni bisognerà preventivamente modificare le istituzioni e le leggi degli stati che con la forza hanno determinato e conservato quelle condizioni.
In tal modo Helvétius nega che la personalità degli individui derivi dall'ereditarietà naturale ed indica coraggiosamente nelle riforme delle leggi e delle istituzioni la via per la realizzazione della collaborazione sociale in vista non dell'utile di pochi, ma di tutta la società. Ma nonostante le sue opere scandalizzassero i rappresentanti dell'ancien règime, Helvétius con la sua utopia della "legislazione perfetta" non infrange il principio fondamentale della società borghese: il diritto alla proprietà privata.
La proprietà è il dio morale degli imperi, essa mantiene la pace dome-
stica, vi fa regnare la giustizia; gli uomini non si sono riuniti che per assicu-
rarsi delle loro proprietà; la giustizia, che racchiude in sé sola quasi tutte le 
virtù, consiste nel rendere a ciascuno ciò che gli appartiene, si riduce 
quindi alla conservazione di questo diritto di proprietà.
(Dell'uomo, VIII, I)
A determinare la condanna dell'opera furono soprattutto gli attacchi portati al dispotismo, al fanatismo, all'intolleranza religiosa e particolarmente, la critica al colonialismo armato espressa proprio mentre la Francia perdeva le sue colonie a vantaggio dell'Inghilterra "liberale e tollerante".
Una teorizzazione ancora piú rigorosa e sistematica del materialismo come concezione generale dei mondo fu fornita da Paolo Enrico Dietrich D'Holbach. Nato nel 1723, studiò presso l'Università di Leyda geologia, chimica e mineralogia. A Parigi dove si era trasferito, strinse amicizia con Diderot e con tutto il gruppo di illuministi che gravitava intorno all'Enciclopedia. Nel 1761 si lanciò in una campagna antireligiosa, traducendo una serie di scritti dei deisti inglesi e utilizzando molte tematiche della letteratura clandestina francese. Nel 1770 pubblicò la sua opera piú importante, il Sistema della natura, alla cui stesura avevano collaborato anche Diderot ed il matematico Lagrange; nel 1773 diede alle stampe il Sistema sociale e la Politica naturale.
Tutta la realtà per l'Holbach è riducibile alla natura. Questa infatti
è l'insieme di tutti gli esseri e di tutti i movimenti a noi noti, e di
moltissimi altri che non possiamo conoscere in quanto sono inaccessibili ai
nostri sensi. Dall'azione e dalla reazione continua di tutti gli esseri che la
natura comprende risulta una successione di cause e di effetti, cioè di
movimenti governati da leggi costanti e invariabili proprie di ogni essere,
necessarie o inerenti alla sua natura, le quali fanno sí che esso agisca o si
muova in una maniera determinata. (Sistema di natura, Il, 2)
Tutti i fenomeni naturali sono collegati tra loro da una ferrea legge di necessità. Ognuno di essi occupa nella serie degli esseri un posto determinato e non può agire diversamente da come agisce.
Lo stesso uomo, essendo anch'egli un prodotto della natura, è sottoposto a queste rigide leggi naturali; non può in nessun caso sottrarsi ad esse, neppure con il pensiero.
Il compito dell'uomo, "essere puramente fisico", non è quello di cercare, al di fuori del mondo che abita, altri esseri capaci di procurargli una felicità che gli viene rifiutata dalla natura, ma quello di studiare questa natura, per contemplare la sua energia e la immutabilità delle sue leggi, per poi utilizzare tutte queste conoscenze per la propria felicità. La natura stessa ci costringe incessantemente ad agire e a pensare in vista della nostra felicità:
Le nostre istituzioni, le nostre riflessioni, le nostre conoscenze hanno
per scopo il raggiungimento di una felicità verso cui la nostra natura ci
costringe a tendere incessantemente. Tutto quanto facciamo o pensiamo,
tutto ciò che siamo e saremo, è una conseguenza della maniera in cui la
natura universale ci ha formato; le nostre idee, le nostre volontà, le nostre
azioni sono effetti necessari dell'essenza e delle qualità a noi assegnate
dalla natura, e delle circostanze per cui essa ci obbliga a passare, risultando
modificati da esse. (Sistema di natura, 1, 1)
La felicità cui per natura gli uomini tendono "non è altro che il piacere continuato". In vista del fine di conservare questa felicità e di goderne, l'uomo vive in comunità con altri uomini che nutrono i suoi stessi desideri e le sue stesse avversioni:
Se ogni uomo tende alla felicità, ogni società si propone lo stesso
fine: l'uomo vive in società per essere felice. Perciò la società è un insieme
di uomini riuniti dai loro bisogni per lavorare di comune accordo alla pro-
pria conservazione e alla propria felicità. 
(Sistema sociale, Il, 1)
Il sovrano, il cui compito è limitato all'esecuzione della volontà dei cittadini, deve, per legittimare il suo potere, garantire a tutti i membri della società "giustizia, protezione e leggi capaci di proteggere le persone, la libertà e i beni". Quando però il sovrano infrange i confini del suo potere ed emana leggi contrarie alla volontà e agli interessi dei cittadini, questi ultimi hanno il diritto di rifiutarle, di revocare i poteri del sovrano e di opporsi alla prevaricazione, anche facendo uso della forza. Da queste premesse scaturisce la violenta polemica contro l'assolutismo e contro la religione, considerata sua naturale alleata.

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