lunedì 28 luglio 2008

Martino Cambula, Il desiderio e l'immagine. Note sul pensiero di Tommaso d'Aquino

a cura DI D. PICCHIOTTI

L' originario impulso alla riflessione sul mondo che ci circonda e sulle ragioni del nostro stare al mondo è lo stupore. Siamo nel mondo come gli alberi, i fiori, i fiumi, le stelle e gli animali: si nasce, si vive e si muore come loro; invecchiano e muoiono anche i tempi e le culture che noi abbiamo creato e sviluppato fino a quel processo inevitabile che Agostino chiamò "senectus mundi". Ma, a differenza di tutti questi enti ed eventi che ci fanno compagnia nella vita e nei quali viviamo immersi come i pesci nell'acqua, noi abbiamo cognizione del bene e del male, consapevolezza del dolore, orrore e angoscia della morte. Alberi e animali muoiono, ma non sanno o, perlomeno, non si interrogano sul perché o sul senso del loro morire e di aver condotto un'esistenza destinata alla morte. Forse non è solo lo stupore della vita e del cosmo che ci spinge a riflettere - come sostiene Aristotele - ma anche e soprattutto lo stupore della fine, la nostalgia di esser già vissuti, di aver attraversato il tempo sulla zattera della nostra ragione fallibile, senza averne afferrato il fine ultimo, se non nei momenti in cui una fede religiosa ci ha soccorso - per dirla con E. Gilson - come un "supplementum rationis".
C'è ragione di pensare che all'inizio della primavera del 1274 Tommaso sia stato come preso dall'onda dello stupore negativo o dell'angoscia della morte, mentre a Fassanova "iacuit infirmus quasi per mensem", come annota scrupolosamente il suo biografo più attendibile, Guglielmo di Tocco. Per chi ha consuetudine di lettura con le opere di S. Tommaso non è raro imbattersi in una proposizione, talvolta anche in un assioma di profonda portata conoscitiva, che rivelano anche la sua percezione sentimentale della condizione dell'uomo nel mondo.
Nelle magistrali Questiones disputatae da Malo (1266-1272) colpiscono due principi che ricorrono spesso in passi paralleli delle opere maggiori: "Malum in mundo est ut in pluribus". La storia ne è la prova inconfutabile: dai cataclismi alle malattie, dalle esistenze opache di milioni di uomini ai crimini senza fine che hanno segnato i tempi, il male appare di gran lunga più diffuso e dominante sul bene. Ma proprio la presenza insolente e insopportabile del male per l'uomo di ragione, ma anche per l'uomo di fede, induce Tommaso a formulare l'altro assioma sul male: "Si malum, ergo Deus".
Ripugna alla ragione e alla fede che il dolore (malum poenae) e il delitto o il peccato (malum culpae) abbiano il diritto o la forza dell'invincibilità finale.

L' UOMO COME DESIDERIO E IMMAGINE DI DIO

Dio, non è evocato (e invocato) - per dirla con Bonhoeffer - come il "Dio tappabuchi" per risolvere l'insolubile. Per Tommaso Dio è riscoperto come il fine ultimo e il principio (causale) primo di tutto il dinamismo della ragione e della volontà, intessuti nel desiderio naturale di conoscere il principio universale dell'essere.
Questa veduta filosofico-teologica dell'uomo emerge con chiarezza dal piano della Summa Theologiae (1271-1273). Esso, infatti, è tracciato all'interno dello spazio logico di due idee (neo)-platoniche, ma integrate di contenuti biblici (Genesi e Apocalisse): l'idea dell'uscita (exitus) di tutti gli enti da Dio e l'idea del loro ritorno (reditus) a Dio.
L'atto creativo di Dio assume nell'uomo due figure o due aspetti: quella dell'inclinazione e del desiderio naturale di vedere Dio, dopo aver attraversato il tempo e lo spazio della storia; e quella dello specchio e dell'immagine di Dio scolpita nell'anima. La razionalità, la libertà, la responsabilità, la sete di conoscenza e di felicità sono gli elementi che compongono, come un tessuto, l'essenza dell'uomo vivente: egli è "splendor Dei".
Vorrei adesso verificare con precisi riferimenti testuali alle opere di Tommaso questa concezione dell'uomo come desiderio e immagine di Dio. E' opportuno rilevare che il genitivo è, in questo caso, genitivo oggettivo e, al tempo stesso, soggettivo. L'uomo desidera Dio, perché Dio ha immesso in lui tale desiderio, legato alla somiglianza della natura di entrambi.
Il desiderio di vedere Dio, che di per sé è di natura conoscitiva e contemplativa, assume anche la forma psicologica di impulso inarrestabile verso la felicità; ma dietro il bisogno psicologico c'è, come sua causa, l'essenza razionale dell'uomo, la "stoffa" - per così dire - di cui egli è fatto e che -, simile alla forza di gravità o all'eros platonico, lo inclina verso Dio come beatitudine ultima, infinita, totalmente appagante.
"Per il fatto stesso che tendono alla loro perfezione, gli esseri cercano il loro bene, poiché ogni essere è buono nella misura della propria perfezione. Per il fatto stesso che cercano il loro bene, essi tendono alla divina somiglianza: ogni essere assomiglia a Dio nella misura della propria bontà. Ma questo o quel bene particolare è desiderabile nella misura in cui assomiglia alla bontà prima [Dio]; perciò un essere tende al proprio bene a causa della somiglianza con Dio, non già viceversa. E' evidente allora che tutti gli esseri cercano come loro fine ultimo una somiglianza con Dio" (Summa contra Gentiles, III, 24).
Fintantoché, dunque, non approda all'unione con Dio, l'uomo è afferrato come una preda da un desiderio insoddisfatto, costitutivo della sua natura.
Questo testo di Tommaso, pur caratterizzato da una procedura razionalistica, attenta a tutti i passaggi logici dell'argomentazione, evoca tuttavia il fascino della tematica esistenziale agostiniana dell'inquietudine dell'uomo e della sua pace in Dio; tematica densa di sviluppi filosofici, letterari, psicologici, mistici e perfino poetici (come nel Silesius).
L'indagine di S. Tommaso, tuttavia, si svolge anche sul piano ontologico: il desiderio è la voce dell'essere umano, della sua essenza più profonda, la versione conoscitiva e psicologica di quello che un altro grande domenicano, il Tauler, chiama il "fondo dell'anima" (der Grund der Seele).
Ecco un altro dei testi più significativi di Tommaso: "E' impossibile che un desiderio naturale sia vano; il che avverrebbe qualora non fosse possibile raggiungere l'intellezione dell'essenza divina, che per natura tutte le menti desiderano; perciò è necessario affermare la possibilità di vedere intellettualmente l'essenza di Dio, sia da parte delle sostanze separate, sia da parte delle nostre anime" (Summa contra Gentiles, III, 51).
Questi primi principi di una teologia del desiderio, legata alla teologia dell'immagine di Dio nell'uomo, sono indicati da Tommaso - sul versante etico della sua indagine - come regole di guida della nostra vita. Nella seconda Parte della Summa Theologiae, proprio nel Prologo, l'Aquinate giustifica il nesso epistemologico che lega tutti i trattati teologici (quelli su Dio, sull'uomo, su Cristo) ricorrendo appunto all'idea di uomo come "immagine di Dio".
"Come insegna il Damasceno, si dice che l'uomo è stato creato a immagine di Dio in quanto l'immagine sta ad indicare "un essere dotato d'intelligenza, di libero arbitrio e di dominio sui propri atti"; perciò, dopo di aver parlato dell'esemplare, cioè di Dio e di quanto è derivato dalla divina potenza conforme al divino volere, rimane da trattare della sua immagine, cioè dell'uomo, in quanto questi è principio delle proprie azioni, in forza del libero arbitrio e del dominio che ha su di esse".
Emerge da questo testo l'idea profonda, forse di una profondità inconsueta, che Tommaso ha elaborato della dignità dell'uomo. Lo ha fatto con un linguaggio limpido, sobrio, elegante, pudicamente festoso (possono la filosofia e la teologia non essere anche una festa di idee?): se mi è permessa una metafora azzardata direi che l'uomo è descritto implicitamente da Tommaso come l'ombra o il riflesso di Dio. Dio, infatti, per il pensatore credente e per il teologo è, al contempo, la "ratio essendi" e la "ratio cognoscendi" dell'uomo: "Omnia, enim, pertractantur in hac scientia sub ratione Dei"; tutto, dunque, è valutabile e pensabile solo per rapporto a Dio
Come sul piano dell'essere Dio è il principio unificatore delle dispersioni della nostra vita e della nostra morte, così l'idea di Dio, all'interno della quale Tommaso è andato indagando e illuminando le ragioni, le gioie, le tristezze, i fallimenti e le speranze dell'uomo, è il principio gnoseologico che riduce ad unità tutte le piccole conoscenze e verità dell'uomo.
Ho accennato alla semplicità del lessico delle opere di Tommaso, proprio nel momento in cui egli scandaglia i misteri più profondi dell'esistenza. Vi si può cogliere un riflesso - messo da lui in programma - della semplicità di Dio. L'infinità e la varietà delle parole umane sono piccoli riflessi o semi e segni del Logos. Era alieno dalla verbosità, dal fare della filosofia o della teologia un torneo di chiacchiere. Dirà Wittgenstein: "Quel che può dirsi, può dirsi con chiarezza; sul resto si deve tacere".
Tommaso amava il silenzio (ne è testimonianza il soprannome "il bue muto" attribuitogli quando era studente universitario dai suoi compagni, segno premonitore di una gran voce teologica e filosofica nei secoli prevista dal suo maestro Alberto Magno); amava il discorso breve e ordinato. Nel Prologo generale alla Summa Theologiae giustifica la composizione della sua opera delineando involontariamente una specie di sommario e implicito autoritratto, che è poi il ritratto-modello del professore universitario e del ricercatore:
"Poiché il dottore della verità cattolica deve non solo insegnare ai più progrediti, ma istruire [gli studenti] principianti (…), la nostra intenzione è dunque d'esporre ciò che concerne la religione cristiana secondo il modo più adatto alla formazione dei debuttanti.
Noi abbiamo osservato in effetti che, nell'impiego degli scritti dei differenti autori, i novizi in questa materia sono molto ostacolati, sia per la moltiplicazione delle questioni inutili, degli articoli e delle prove; sia perché ciò che conviene loro di apprendere non viene trattato secondo l'esigenza della materia insegnata (secundum ordinem disciplinae), ma a seconda che lo richieda la spiegazione dei libri [adottati] o l'occasione delle dispute; sia infine che la ripetizione frequente delle stesse cose genera negli spiriti degli ascoltatori stanchezza e confusione".
I suoi biografi, in particolare Guglielmo di Tocco, rilevano concordi che non solo lo stile della scrittura accademica, ma perfino la sua conversazione era guidata dalla regola dell'essenzialità, della brevità, della chiarezza e trasparenza lessicale. Tutto il suo sistema linguistico appare caratterizzato da quel tratto distintivo che egli attribuisce alla bellezza estetica, in particolare letteraria e poetica: lo "splendor formae".
Come professore universitario di teologia, in particolare a Parigi, la sua fatica del concetto e del linguaggio era ispirata a una sorta di etica della comunicazione. Nel citato Prologo generale alla Summa Theologiae, al di là della sua severa censura contro i metodi didattici prolissi, confusi, ripetitivi, involuti e impropri nell'uso dei vocaboli da parte di molti suoi colleghi, Tommaso lascia trasparire il suo bisogno e il suo desiderio di stimolare e per così dire di risvegliare o riaccendere nell'intelligenza dei suoi studenti e lettori la dimensione più profonda dell'apprendimento e della ricerca: cioè la dimensione "sapienziale".
Anche l'informazione o la nozione più elementare appresa da uno studente è virtualmente legata alla rete infinita delle conoscenze umane: dalla conoscenza di un invisibile microrganismo nasce l'impulso ad allargare il quadro fino alle indagini più profonde della biologia; come dall'osservazione poetica di un'esistenza fragile, come quella d'un filo di luce, siamo rinviati a sondare il mistero dell'universo. Il più breve motivo musicale di Bach - diceva Popper - contiene in nuce infinite variazioni. Come Bach è capace di rincorrere - con una sorta di dialettica platonica trasversale -, transitando cioè dall'una all'altra i suoni e le voci della sua musica e del suo canto, così Tommaso intesse il ricamo, sobrio e gioioso ad un tempo, delle sue idee, rilevandone l'implicita dimensione intercomunicativa e aperta a idee più ampie, aperte alla contemplazione dell'universo e del suo Creatore. La ricerca e la didattica sono per Tommaso "vie": sentieri ben tracciati da percorrere, "itinerari della mente" - per dirla con S. Bonaventura - che dalla scienza o dalla filosofia conducono - per passaggi interni, alla "sapienza", cioè a vedere tutto sotto la luce di Dio. "Lo studio della sapienza - cioè delle parti più alte della teologia - è il più perfetto, sublime, utile e gioioso fra tutti gli studi umani".
Si coglie forse in questo passaggio della "Summa Theologiae" il richiamo al "gaudium de Veritate" di Sant'Agostino. La gioia e il piacere della "fatica" dell'apprendere, dello studiare, del ricercare, dello svolgere la lezione con una didattica della comunicazione breve, essenziale, lineare, linguisticamente appropriata, risiedono in quel "luogo" dell'intelligenza umana in cui Tommaso ha creduto di scoprire la dimensione virtualmente teocentrica di ogni desiderio di sapere e la somiglianza dell'uomo con Dio: tale luogo è l'intelligenza interrogante ("intellectus quaerens") che non è mai contenta della risposta che ha ottenuto a una propria domanda.
Ogni risposta è un'autentica risposta scientifica se è capace di suscitare altre domande, in senso orizzontale e in senso verticale. Il vero studioso o il vero ricercatore è colui che è ricco di domande. La ragione ontologica di questo nostro domandare esteso alla totalità dello scibile è per Tommaso quella stessa scoperta da Agostino: ogni uomo, venuto alla luce in questo mondo, proprio perché è un ente finito e fallibile, non solo è circondato da una realtà che reclama di essere spiegata, ma è egli stesso, per se stesso, una grande domanda: "Ecce coelum et terra; clamant quod facta sunt; mutantur enim et variantur". (…) Ego magna quaestio factus sum mihi (…)".
E' questa la domanda radicale: essa attinge la profondità delle ragioni del nostro essere nati e del nostro desiderio infinito ed inappagato di felicità. Nessun valore materiale potrà mai colmare il vuoto antropologico dell'uomo senza Dio; la dialettica del bisogno e del desiderio sono il segno fragrante di quella che il letterato-filosofo Steiner ha definito la "nostalgia dell'Assoluto"; e che Tommaso ha scolpito in quello che mi sembra l'assioma più bello e più felice del suo pensiero filosofico-teologico: "Bonum gratiae unius [di un solo uomo] melius est quam bonum naturae totius [di tutto] Universi".

Martino Cambula è professore di prima fascia di Storia della Filosofia (Concorso nel 2000) nell'Università di Sassari, proveniente dal ruolo dei professori associati (1981). Dal 2001 è presidente del Corso di Laurea in Filosofia. Ha ricoperto per supplenza l'insegnamento di Storia della Filosofia medievale (1984-1992) e attualmente (dal 1998) ricopre quello di Logica e filosofia della scienza. Collabora alla "Rivista di Ascetica e Mistica" di Firenze; e alla pagina "Cultura" del Settimanale "Libertà" di Sassari. I temi della sua ricerca vertono su : Crisi della ragione moderna: R. Guardini e L. Wittgenstein; Figure della ragione tra filosofia e scienza; Fede e ragione, con particolare riferimento al pensiero e l'opera di S. Tommaso d'Aquino; Esperienza e conoscenza nel neopositivismo
I suoi lavori: Eclissi o tramonto della razionalità moderna? Su R. Guardini e L. Wittgenstein, Edizioni La Scala, Noci (BA)1994; Forme del vivere e forme del sapere. Figure della ragione tra filosofia e scienza, Editrice Democratica Sarda, Sassari 1996; Sapere e credere. Domande sull'Enciclica "Fides et Ratio" di Giovanni Paolo II, Edizioni La Scala, Noci (BA)1998; Moritz Schlick, Il futuro della filosofia. Esperire, Conoscere, Metafisica, a cura di Martino Cambula, Edizioni La Scala, Noci (BA)1999; "De docta ignorantia": la via apofantica alla conoscenza di Dio in Tommaso d'Aquino in "Rivista di Ascetica e Mistica", 1, Firenze 2000, pp. 139-165; L' "ultimo" Popper, in "Il volo", Cagliari 2000; Verità di ragione e verità di fatto, in M. Schlick, L'essenza della verità secondo la logica moderna (edizione italiana integrale), Rubbettino, Soveria Monnelli 2001.

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