domenica 20 aprile 2008

L'opera d'arte tra ragione e passione

a cura DI D. PICCHIOTTI

Domani a Napoli, presso l'istituto per gli studi filosofici, una giornata di studi dedicata al grande psicoanalista Ignacio Matte Blanco. Il titolo dell'incontro «Le logiche del sentire» allude a un percorso avviato per superare la contrapposizione classica tra le due logiche che governano il `ghiaccio' della filosofia e il `fuoco' della creazione artistica: secondo un progetto che ci lascia in eredità la ricerca di una «super-logica» capace di unificare coscienza e inconscio, pensiero e emozione
Chi non ha provato, ascoltando musica, guardando un quadro o assistendo a una tragedia sulla scena, un senso di intensa commozione, di gioia esplosiva o di struggente malinconia, come se fossero state toccate e vibrassero in lui le corde più profonde dell'anima? Di fronte a tali tempeste emotive Adorno ha potuto sostenere che la «la capacità di rabbrividire» definisce l'atteggiamento spontaneo di fronte alla bellezza, «come se la pelle d'oca fosse la prima immagine estetica». La percezione della bellezza si riduce dunque a un fremito, a un turbamento o a uno stravolgimento delle facoltà mentali? Si è a lungo dibattuto (e si discute ancora, specie in ambito anglo-sassone) per stabilire se l'esperienza estetica dipenda da fattori emotivi o cognitivi. È certo che la poesia e l'arte in genere costituiscono la «lingua degli affetti», ma esse - come mostra la musica in maniera eminente - possono anche congiungere il massimo di rigore formale, addirittura matematico, con il massimo di pathos e di vaghezza. Del resto, la tradizione pitagorica, che ha dominato in Europa per oltre millecinquecento anni, ha ritenuto la bellezza calcolabile e governata da criteri di misura, armonia, simmetria e proporzione. È stato solo dopo il Barocco che si è definitivamente affermato il principio secondo cui il bello non ha natura esattamente calcolabile e non è determinato tanto dai sensi pubblici dell'esattezza misurabile (la vista e l'udito), quanto da un elemento imponderabile, da un «non so che», assimilabile al senso del «gusto», dunque a qualcosa che possiede, almeno in parte, una natura soggettiva e privata, educabile secondo determinati standards.
Il nesso conoscenza/emozione è rimasto tuttavia sempre oscuro, anche quando - per restare al panorama italiano - Giacomo Leopardi ha proposto l'idea di una «ultrafilosofia», che riesca a pensare la poesia senza però invaderne il campo e, per converso, di una poesia che, «nulla al ver detraendo», possa servirsi della filosofia senza diventare ragionamento o difesa di una tesi. Dice, infatti, che - se non vuole essere un «filosofo dimezzato» - il pensatore è tenuto a sperimentare passioni e illusioni: «Chi non ha o non ha mai avuto immaginazione, sentimento, capacità di entusiasmo, di eroismo, d'illusioni vive e grandi, di forti e varie passioni, chi non conosce l'immenso sistema del bello, chi non legge o non sente, o non ha mai letto e sentito i poeti, non può essere un grande, vero e perfetto filosofo, anzi non sarà mai se non un filosofo dimezzato, di corta vista, di colpo d'occhio assai debole, di penetrazione scarsa ... Non già perché il cuore e la fantasia dicano sovente più vero della fredda ragione, ma perché la stessa freddissima ragione ha bisogno di conoscere tutte queste cose, se vuol penetrare nel sistema della natura, e svilupparlo ... La ragione ha bisogno dell'immaginazione e delle illusioni ch'ella distrugge» (Zibaldone, 4 ottobre 1821).
Filosofia e poesia, ciascuna al suo posto e con strumenti differenti ma complementari (il «ghiaccio» e il «fuoco»), devono perciò contemporaneamente unire e separare la ragione e la passione, il finito e l'infinito. Benedetto Croce, a sua volta, ha cercato di conciliare l'idea dell'arte come conoscenza dell'individuale (intuizione e fantasia) e quella dell'arte come sentimento (o passione oggettivata e controllata, trasformata in serena contemplazione). Ha respinto sia l'attribuzione ad essa di forme intellettuali, sia il torbido sensualismo dannunziano, sia `il tormento e l'estasi' da cui il senso comune ritiene invasato l'artista.
Con un percorso a prima vista improbabile ed impervio, Ignacio Matte Blanco è riuscito a trovare una originale soluzione a questo antico e dibattuto problema, scoprendo nella poesia e nell'arte in genere il risultato del particolare intreccio tra pensiero simmetrico e pensiero asimmetrico, tra logica dell'inconscio (per cui la proposizione «A è il padre di B» può trasformarsi in «B è il padre di A», ignorando ogni ordine temporale, spaziale e casuale) e la logica del pensiero vigile del senso comune e della scienza, mai completamente raggiungibile nella sua purezza, ma che mantiene fermamente le differenze, assicurandoci la sopravvivenza e il fruttuoso contatto con la realtà. L'opera d'arte riuscita è pertanto una ibridazione non sterile tra queste due logiche, che fa rabbrividire l'animo di commozione, forzando il linguaggio della comunicazione in modalità paradossali che si sottraggono alla logica simmetrica.
Memore della sua nativa cultura latino-americana, in Estetica ed infinito, Matte Blanco ricorda, con un esempio, come le leggi della logica classica (il principio di identità, di non-contraddizione o la dicotomia vero/falso) non vengano applicate dall'arte e, spesso, neppure dalla vita quotidiana. Si tengono formalmente in alta considerazione, ma non si mettono in atto: «Si racconta che quando gli amministratori del Cile al tempo della colonia ricevevano dei plichi che contenevano le disposizioni del re e che erano arrivati dopo mesi di navigazione, frequentemente succedeva che le circostanze cui si riferiva il plico erano cambiate. Così si arrivò alla seguente prassi: davanti ai plichi, i funzionari si toglievano il cappello, si mettevano agli attenti e sentenziavano: 'gli ordini del re si rispettano ma non si eseguono'. Nella vita ordinaria tutti noi abbiamo un simile atteggiamento verso le regole della logica classica, che rispetta i principi di identità, di contraddizione e ha due valori di verità».
In effetti, la razionalità - nel ragionamento scientifico, come nel buon senso - procede secondo concetti tendenzialmente univoci, concatenati in base a criteri di coerenza e/o di verifica empirica. L'opera d'arte, al contrario, si serve di immagini o di idee polisemiche e vaghe, crea campi semantici vasti e indeterminati, scombina il cauto procedere dell'intelligenza congiungendo nella metafora ciò che è lontano o usando nella sineddoche la parte per il tutto. Rasenta l'ineffabile, non perché sia incapace di esprimere qualcosa (vale anzi il contrario), ma perché dice troppo, perché le sue riserve di senso risultano inesauribili, tant'è vero che una poesia si può leggere infinite volte, trovandovi sempre aspetti prima non colti, eppure già virtualmente contenuti in essa. L'opera d'arte non si può quindi ridurre a qualcosa di rigidamente chiuso: parafrasando Gombrich, in luogo di «arte come illusione», bisognerebbe parlare di «arte come allusione», in quanto rinvia a un insieme indefinito - e, forse, infinito - di implicazioni e di significati impliciti.
Essa non tiene conto, inoltre, dei vincoli imposti dalla realtà. Così, se Eraclito afferma che tutti gli svegli partecipano ad un mondo comune, mentre i dormienti vivono ciascuno in un universo privato, la poesia costituisce un paradossale mondo intermedio, in cui la dimensione pubblica e privata, il linguaggio della ragione e quello delle passioni confluiscono e scambiano continuamente i rispettivi ruoli. I mondi prodotti dal poesia non costituiscono pertanto né un semplice rispecchiamento della «realtà», né il frutto di una immaginazione arbitraria. Si situano in un `terzo regno', intermedio tra il presunto `reale' riflesso dalla conoscenza (intesa come riproduzione logico-percettiva di esso) e gli altrettanto improbabili prodotti per partenogenesi di una fantasia creatrice dal nulla. Due concetti specularmente opposti e complementari vengono pertanto messi in mora o distrutti nella loro assolutezza: l'idea di una realtà di per sé vera ed indipendente dal linguaggio che la enuncia (una `iper-realtà' che la poesia o l'arte in genere dovrebbero mimeticamente rispecchiare) e quella di una immaginazione arbitraria, brada, che - a partire da appigli offerti dall'esperienza - si inventa un mondo che non ha più alcun rapporto con quello in cui effettivamente si vive. È, invece, possibile intendere il territorio della poesia come atopia, luogo inclassificabile, che non appartiene né al dominio della realtà assoluta, né a quello - che ne è l'opposto speculare - dell'utopia, del non-esistente per definizione.
Matte Blanco cerca di spiegare questo 'terzo regno' come frutto di un peculiare intreccio tra diversi tipi di logica. Utilizzando nelle sue ultime riflessioni il linguaggio pascaliano, parla così di «ragioni del cuore», che la ragione non conosce, ma anche di `ragioni della ragione' che le ragioni del cuore non conoscono. Ognuno di noi è, tuttavia, oltre che homo duplex, anche, e contemporaneamente, un essere umano integrale, composto da cuore e intelletto, che non deve sentire senza pensare e pensare senza sentire. Per questo, il nostro pensiero è in grado di «immergersi» nelle ragioni del cuore e, anche senza capirle, senza abbracciarle a pieno, di navigare e nuotare in esse. Quando ci riesce, entra in un mondo che non è estraneo al comprendere, ma certo «alieno alla conoscenza che ci fornisce, da solo, il pensiero». La stessa idea viene espressa, sempre in Estetica ed infinito, con un'altra similitudine: «La differenza tra arte e scienza sarebbe, da questo punto di vista, che nella scienza il pensiero mette a fuoco un argomento ben definito, che può studiare con precisione: il suo soggetto di studio sta, per così dire, dentro l'ambito della visione maculare dell'occhio della coscienza. Nell'arte, invece, l'oggetto è così esteso e così molteplice che non può entrare nel circoscritto spazio della visione maculare. Si potrebbe dire che l'oggetto dell'emanazione artistica occupa tutto il campo della visione della coscienza, inclusa la visione maculare».
Tale occupazione ed inclusione del pensiero nella sfera dell'emozione non ne distrugge l'autonomia. Il primo comprende la seconda, cogliendone però una sola dimensione, mentre l'emozione ha più dimensioni e fonde, al calor bianco, nell'«indivisibile» tutte le determinazioni dell'intelletto, trasformandone il faticoso e cadenzato passo da «formica» in turbinosi e trascinanti movimenti. All'epoca in cui scriveva L'inconscio come insiemi infiniti, Matte Blanco pensava che l'emozione fosse «la madre del pensiero». Ora il suo sguardo si è leggermente spostato, senza invalidare la precedente ipotesi: il pensiero è anche emozione, che mette però nell'arte i suoi strumenti espressivi al servizio dell'emozione stessa. Al pari dei funzionari cileni dell'età coloniale, l'intelletto rispetta paradossalmente i propri ordini, ma non li esegue prevedendo delle deroghe al proprio sovrano potere.
E questo avviene in diversi modi. Ad esempio, sovvertendo in senso `simmetrico' la logica asimmetrica oppure stravolgendo i parametri temporali comuni. Già Franco Fornari, nel recensire L'inconscio come insiemi infiniti, aveva indicato quale modello eminente di simmetria il verso dantesco «Vergine madre, Figlia del Tuo Figlio». La scelta è perfetta, in quanto esso stabilisce la doppia equivalenza di elementi incompatibili quale «madre» e «vergine» e «madre» e «figlio». L'impensabile viene così espresso attraverso la dissoluzione delle differenze, che sfociano in una indistinta e indivisibile totalità, in una specie di presocratico En kai pan o Uno-Tutto. L'alterazione dei parametri temporali viene invece mostrata da Matte Blanco mediante i versi di Pablo Neruda di Alturas de Machu Picchu, dove il poeta invita gli umili morti delle sue terre andine a salire dalle loro tombe e nascere con lui, pur dicendo a ciascuno di loro che non rivivrà più: «Non tornerai dal tempo sotterraneo. / Non tornerà indurita la tua voce. / Non torneranno i tuoi occhi trapassati». Ma è proprio questo caos temporale, che stravolge le normali sequenze del prima e del poi, che crea dei morti viventi e fa scendere i vivi tra i morti a produrre la più profonda emozione, come se ci si data licenza di violare le barriere del tempo e della morte.
Sia in Dante, sia in Neruda la parola poetica sprigiona una profonda emozione, che cresce di grado e s'innalza fulmineamente verso l'infinito, quanto più si abbassa il livello di coscienza critica, razionale. Esiste, infatti, un diretto rapporto tra lo sprofondare nell'Inconscio e l'elevarsi e «infinitizzarsi» tendenziale dell'intensità dell'emozione. Le grandi opere d'arte sono capaci di compiere questo miracolo, di procurare una discesa controllata e riuscita del pensiero cosciente e dividente nel pensiero inconscio e indivisibile, di condensare la ricchezza del mondo facendo coesistere e collaborare - mantenendoli, insieme, uniti e distinti - il pensiero logico che discerne sulla base dei criteri di vero e falso e il pensiero simmetrico che fa di ogni erba un fascio. Secondo un'immagine presentata in Pensare, sentire, essere, la logica simmetrica e quella asimmetrica, «sono come l'azoto e l'ossigeno nell'aria: insieme e, tuttavia, separati e mai combinati a formare biossido di azoto». Ed è proprio questa collaborazione antagonistica che Matte Blanco ha cercato di comprendere e di articolare negli ultimi anni della sua vita, lasciando in eredità, quale progetto incompiuto, la ricerca di una «super-logica» capace, eventualmente, di unificare il pensiero simmetrico e quello asimmetrico, la coscienza e l'inconscio, il pensiero e l'emozione. DI REMO BODEI

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