mercoledì 29 agosto 2007

IO ERO FELICE E BASTA racconto di Coppari ugo

Mi ricordo che quando andavamo al mare c'era sempre
il sole. Usavamo la paletta e il rastrello: il secchiello non ci serviva quasi mai. Non volevamo tanto costruire castelli o slanciarci verso l'alto, quanto scavare a fondo, per cercare l'acqua o per andare giù e basta o per non so bene quale ragione. E mi ricordo che poi ad un certo punto era ora di fare il bagno. Non si poteva fare il bagno subito dopo mangiato. Ma oramai erano passate diverse ore dopo la pesante colazione del mattino. Ed era finalmente possibile tuffarsi. Via! - e ci lanciavamo nell'acqua scaldata dai primi raggi di sole. Ci piombavamo nei fondali del mare Adriatico. Io a quei tempi pensavo di poter vedere il luccichio e sentire il frastuono delle bombe che arrivavano dall'altra sponda di questo grande lago. Soltanto dopo alcuni anni sono stato smentito dai più grandi, e tutta la storia della mia vita è stata frantumata. Io, nell’ascoltare e nel vedere le bombe slave, credevo di far parte di qualcosa di più grande di me. Una guerra. Peraltro altrove. Invece ero soltanto
un bambino qualunque, che avrebbe anche potuto non venire al mondo: tanto sarebbe stato uguale, tanto questo non si sarebbe accorto. Il sole piano piano calava sempre di più e nel corso degli anni le estati erano sempre più tiepide. Come sempre la mattina ci si svegliava presto per scendere giù in spiaggia, dove le uniche richieste da parte dei genitori erano quelle di non affogare. Per il resto tutto era campo di gioco. Via le scarpe, via i calzini, via i pantaloni, via tutto. E poi con la scusa di prendere i molluschi sotto la superficie del mare, ci si poteva immergere nelle profondità e fare finta che il fuori non
esistesse. Credevo che l'acqua mi entrasse dalle orecchie e nelle bocca e nel naso e basta, perché per il resto non sapevo come funzionasse e come fosse fatto il mio corpo, ne ero soltanto ospite, e credevo inoltre che il mare scorresse dentro di me per poi riuscire. Il mare Adriatico, il mar Mediterraneo e poi anche l’Oceano Atlantico e poi anche il Pacifico prima o poi, l’Indiano e tutti gli altri mi sarebbero circolati attraverso nel corso degli anni. Per questo mi sentivo parte di un tutto. E quindi nel momento in cui nuotavo sott'acqua mi sentivo parte di qualcosa perché quel mare che mi scorreva attraverso lo vedevo ed era limitato e segnato nelle carte geografiche in blu o celeste, e invece l'aria che mi scorreva dentro là fuori tra le altre persone era impalpabile e soprattutto non sapevo quante persone la stessero respirando insieme a me lì vicino, e allora stentavo a credere di essere parte di un tutto. Forse volevo essere non tanto parte di un tutto, ma il tutto stesso. Prima di immergermi guardavo attorno a me quanta gente si stesse immergendo nei fondali nel mio stesso istante. Volevo il mare per me. Molti romanzi parlano del mare come di qualcosa di salvifico, di mistico, con cui si può parlare. Io del mare ricordo i meloni che sudano, le fette di prosciutto rosato che ci spalmavo sopra, l’insalata con l’aceto e poco olio di mia madre, i bicchieri di coca-cola ghiacciata con il limone, i calippo al limone che non costavano nulla, il biliardino sottocasa, le lunghe passeggiate fino al porto, le docce gelate prima di rientrare a casa per non portare dentro la sabbia, labicicletta sempre, le giornate piovose costretti a stare chiusi dentro casa e guardare fuori impotenti, il treno e la ferrovia che ci passavano a fianco, le parole crociate, un numero spropositato di prugne che mangiavo in continuazione, e poi i granchi e i piedi pieni di sabbia dentro le ciabatte di plastica. Ma soprattutto ricordo che non ero propriamente felice in quei giorni. Ero felice quando rimanevo da solo. Ma a volte, quando mi confrontavo con altri ragazzini che avevano più amici di me, mi ricordo che non ero felice. Forse ho sempre vissuto il mare con distacco. Anche quando stavo sotto il mare ero diverso, volevo nuotare con il mare dentro. Quando stavo fuori dall’acqua mi sentivo che agli altri. In realtà io non vorrei ricordare, perché è proprio la volubilità della memoria a trarci spesso in inganno. In realtà a quei tempi c’era solo la mia casa, la spiaggia, il mare sopra, il mare sotto, il cielo e le bombe nell’altra sponda. E neanche il sole che calava negli anni e scandiva il tempo della crescita. La psicoanalisi rovina tutto e credo che gli psicologi siano dei teppisti della memoria. Io ero felice e basta.
COPPARI UGO

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