giovedì 10 dicembre 2009

l mito a Venezia: pittura e produzione a stampa fra Quattrocento e Cinquecento


A cura di Picchiotti Danilo

A Venezia non è la corte il luogo dove si produce la cultura, sono piuttosto i circoli di studiosi, più spesso vicini ai primi editori, che già all’inizio del secolo portano avanti una ricerca di alto livello; così anche nell’ambito della cultura artistica si verifica una sorta di sperimentazione intellettuale che convive con una produzione artigianale meno elevata e più divulgativa e disimpegnata, che troverà espressione sia nelle illustrazioni dei testi a stampa sia nelle incisioni sia nella produzione e nella decorazione di oggetti d’uso, dai mobili ai manufatti del corredo domestico. Tale dialettica attraversa tutto il secolo implicando sia l’attività artistica di grossi personaggi come Giorgione, Tiziano, Tintoretto, Veronese, con la realizzazione di capolavori indiscutibili, documenti di una complessa problematica culturale, sia quella produzione spesso ancora artigianale, sicuramente più semplificata nei contenuti come nelle soluzioni formali, affidata ad artisti meno impegnati o alle maestranze di bottega, che sta a testimoniare una tendenza culturale di più ampia e facile fruizione.
La diffusione delle immagini mitologiche, a partire dall’edizione illustrata dell’Ovidio volgare nel 1497 , determina emblematicamente la divaricazione della produzione artistica a soggetto profano e segnatamente mitologico in due livelli: il primo continua anche attraverso le altre edizioni ovidiane e la produzione incisoria il nucleo illustrativo e divulgativo della favola mitologica narrata attraverso le varie fasi delle singole storie. Il secondo filone vede nella mitologia classica il tramite di determinati contenuti simbolici ricavabili dall’analisi delle fonti letterarie, alla luce della speculazione filosofica del tempo.
A Firenze alla corte di Lorenzo il Magnifico la mitologia era stata allegorizzata attraverso la filosofia platonica nell’interpretazione che ne aveva dato Marsilio Ficino a capo dell’Accademia di Careggi. La diffusione delle concezioni neoplatoniche, veicolate dalla mitologia in ambito veneto, viene recepita in termini diversi rispetto all’ermetico simbolismo fiorentino; negli Asolani di Pietro Bembo (stampato nel 1505), nel Libro de Natura de Amore di Mario Equicola (1525) come nei Dialoghi d’Amore di Leone Ebreo i miti legati all’amore, alla bellezza, alla musica e alla poesia rivestiranno concetti complessi e profondi resi più facilmente comprensibili dalla lingua volgare adottata dai tre autori. In volgare viene anche stampato da Aldo Manuzio, a soli due anni di distanza dalle Metamorfosi di Ovidio, il romanzo di Francesco Colonna, l’Hypnerotomachia, Poliphili; al testo e alle illustrazioni dell’opera farà riferimento negli anni seguenti la cultura figurativa veneta.
Alle favole mitologiche Giorgione da Castelfranco, la cui identità biografica ed artistica rimane ancora avvolta dalle tenebre, dedicherà poca attenzione, più attratto dalle elaborazioni filosofiche nei suoi dipinti soggetti alle più complesse interpretazioni; ma al suo nome resta legata una produzione di facile consumo dove il mito viene semplicemente raccontato o illustrato a fini decorativi o per committenti interessati a quelle storie immerse nella natura umbratile resa attraverso quel colorismo che caratterizzerà le ricerche pittoriche degli artisti veneziani nel XVI secolo.
Il genere deputato a tale produzione artistica è per lo più la pittura di cassone per committenti privati che restano nell’anonimato come anche spesso gli stessi pittori. L’andamento narrativo di queste rappresentazioni è ispirato per la gran parte alle Metamorfosi di Ovidio sul modello delle illustrazioni xilografiche dell’edizione in volgare del poema augusteo. Fra queste i pannelli dei musei civici di Padova con la Leda e il cigno o il cosiddetto Idillio campestre, che sembra riproporre a livello compositivo la tematica della Tempesta dell’Accademia, restano in un totale anonimato anche per la fattura poco definita sebbene siano molto caratterizzate le ambientazioni naturalistiche e gli sfondi di città. Di discussa attribuzione invece sono i pannelli con la Nascita e la Morte di Adone nei Musei civici di Bergamo o quello con la storia di Apollo e Dafne del seminario patriarcale di Venezia, fedelmente mutuata dalla xilografia del poema ovidiano nella sequenza degli episodi: dall’uccisione del serpente Pitone per mano di Apollo, all’inseguimento della ninfa da parte della divinità solare che determinerà la metamorfosi in alloro; per questi i nomi di Tiziano giovane, Giorgione e Paris Bordon, per il pannello veneziano, continuano ad essere riproposti senza un approfondimento di questo tipo di produzione - che invece si registra in parte per l’area toscana - e dunque del lavoro di bottega da una parte e dello status dell’artista dall’altro in ambiente veneto all’inizio del Cinquecento. Più definiti, in termini stilistici, appaiono i tondi con il mito di Endimione e il Giudizio di Mida della Galleria Nazionale di Parma assegnati a Cima da Conegliano, al quale pure sono riferiti il Bacco e Arianna del Museo Poldi Pezzoli di Milano e i due frammenti con Sileno e tre Satiri e Fauno della Johnson Collection di Philadelphia e il Giudizio di Mida di Copenhagen. Più innovativa rispetto ai modelli illustrativi è la composizione del pannello dell’Accademia Carrara di Bergamo dove Euridice, morsa dal dragone, corre verso l’esterno del pannello, mentre al centro in secondo piano le fiamme dell’Inferno fanno da sfondo al momento cruciale del mito in cui Orfeo girandosi a guardare Euridice la perderà per sempre.
Ancora nell’ambito di questa produzione si pongono una serie di rappresentazioni dedicate a Venere o alla ninfa scoperta dal satiro, soggetti a sfondo ora erotico ora filosofico che caratterizzano la cultura veneta e nord-europea del primo Cinquecento. La matrice è forse da rintracciare nel romanzo di Francesco Colonna e nella xilografia che illustra appunto una ninfa scoperta da un satiro affiancata da due amorini che versano dell’acqua. Si tratta di una figurazione ecfrastica che decora la fontana della vita, come indica l’iscrizione dedicatoria P A N T W N T O K A D I , vale a dire "alla madre di tutte le cose ", dove Polifilo andrà a dissetarsi durante il suo lungo percorso iniziato alla ricerca dellla sapienza. Dalla Venere di Dresda alla Ninfa alla fonte di Lucas Cranach a Lipsia, alla Venere di Urbino il tema dell’amore viene assunto e finalizzato per contenuti ora matrimoniali ora erotici ora filosofici.
In questi dipinti si verifica un netto scarto dalla composizione narrativa a quella allegorica che caratterizza le opere attribuite a Giorgione, come già notava Giorgio Vasari nel ricordo dell’impressione avuta dei dipinti dell’artista in occasione del suo viaggio a Venezia: «Giorgione non pensò se non a farvi figure a sua fantasia per mostrar l’arte; poiché nel vero non si ritrovan storie che abbi ordine o che rappresentino i fatti di nessuna persona né antica o moderna».
Mentre gli Asolani di Pietro Bembo, nel recepire la tradizione platonica fiorentina, costituiscono la fonte primaria di quella produzione a soggetto amoroso e cortese, i Dialoghi d’Amore di Leone Ebreo, scritti probabilmente fra il 1502 e il 1506 ma pubblicati solo nel 1535, si fanno interpreti di quella componente ermetica del neoplatonismo rinascimentale che è alla base di molte opere di paternità giorgionesca e di Tiziano giovane.
Il Concerto campestre del Louvre insieme all’Amor sacro e Amor profano della Borghese interpretano questa complessa problematica artistica tematica e culturale. La inusuale rappresentazione del dipinto parigino, dove figure nude e figure diversamente vestite creano un’atmosfera di intesa e di sospensione temporale, rivela la sua valenza allegorica in termini di allegoria musicale. Per la nuda alla fonte bisogna ricorrere all’immagine della poesia nella serie dei cosiddetti Tarocchi del Mantegna, dove una figura femminile posta sul Parnaso si appresta a compiere un rito di purificazione lustrare. Così la contaminazione della nuda del dipinto del Louvre con la personificazione della Temperanza contribuisce, anche attraverso la dimensione temporale, a conferire al dipinto un significato filosofico musicale.
Un dipinto di quotidianità matrimoniale e di allegoria filosofica invece è stato da ultimo definito l’Amor sacro e profano ; il dipinto tizianesco, eseguito fra il 1514 e il 1515 in occasione del matrimonio fra Nicolò Aurelio e Laura Bagarotto, come rivelano gli stemmi dipinti nel quadro, verte sul tema dell’amore in antitesi ma in inevitabile dialogo con la morte. Così l’amore umano, rigenerazionale e matrimoniale convive e si contrappone all’amore sublimato, all’amore divino, spogliato di ogni ornamento, assimilabile anche a Psiche, all’anima, mentre l’elemento dell’acqua, assume un significato simbolico come nel romanzo d’amore di Francesco Colonna e nel Concerto campestre in quanto si fa tramite fra gli opposti e medium nell’azione del temperare da parte di Cupido.
Dopo la precoce morte di Giorgione la sopravvivenza della mitologia nella cultura artistica veneta del Rinascimento resta affidata essenzialmente a Tiziano e solo in parte ad altri artisti come Sebastiano del Piombo, autore della splendida Morte di Adone agli Uffizi , replicata da Baldassarre Peruzzi negli affreschi della sala delle Prospettive nella villa di Agostino Chigi a Paris Bordon e a Palma il Vecchio e solo più tardi a Tintoretto, seguito dalle solari composizioni di Veronese.

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