mercoledì 18 febbraio 2009

Arte e guarigione nel mondo antico

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI
I

L’arteterapia è una disciplina basata principalmente sui campi dell’arte e della psicologia che si uniscono evolvendosi in un’unica nuova entità. Ma è arduo dire che si tratti di una pratica del tutto moderna, poiché arte e guarigione si intrecciano già nel mondo antico.

In effetti lo sviluppo dell’arteterapia intesa come disciplina organizzata può essere vista come l’applicazione formale di tradizioni umane la cui origine si perde nella notte dei tempi, influenzate dalle tendenze intellettuali e sociali dei nostri giorni.

Il desiderio dell’uomo di lasciare la propria impronta e di esprimere le immagini mentali nasce con lui; basti pensare ai graffiti rupestri, alle prime forme in terracotta, all’arte della maschera, ai riti e misteri della musica e della danza.

Gli sciamani utilizzavano già queste forme per le loro pratiche di guarigione ed in qualche paese ancora i guaritori le attuano con modalità del tutto simili, come per esempio in Sudamerica.

Gli ospedali psichiatrici del XIX° e inizio XX° secolo

Nella nostra cultura l’arte entra agli inizi del XIX° secolo negli ospedali psichiatrici ed è ampiamente documentato il crescente interesse della psichiatria in quel periodo, per l’espressione delle forme date alle proprie immagini mentali, da parte dei malati. Gli strumenti erano quelli consueti del disegno, della pittura, della scultura, musica, danza, recitazione.

Da qui hanno origine il binomio “arte e follia” che rappresenta un vero e proprio stereotipo letterario, così come il termine “arte psicopatologica” che ha prodotto una fiorente letteratura sull’argomento. In effetti la ricerca andava allora nella direzione di trovare corrispondenze tra i sintomi tipici delle patologie psichiatriche ed i segni e figure prodotti dai malati nelle loro opere. Atteggiamento che oggi sappiamo discutibile ed artificioso.

Molti grandi autori che s’interessarono a questo tema criticarono comunque già allora tale approccio. Risale all’inizio degli anni ’20 il saggio “Bildnerei des Geisteskranken” dello psichiatra tedesco Hans Prinzhorn con il quale egli sfidò sia la psichiatria che le Belle Arti a riconsiderare le loro nozioni di malattia mentale ed arte, contribuendo ad orientare l’osservazione sul “mondo interno”, sulla necessità interiore di esprimere, sulla corrispondenza non tra sintomo e forma, ma tra forma ed affetti.

Tendenze del XX° secolo

Per gran parte della storia dell’uomo, la malattia mentale è stata guardata con paura e fraintendimento come manifestazione di forze sia divine che demoniache. Le tendenze della psicologia del XIX° e XX° secolo creano invece creano invece un contesto più umano per il malato psichiatrico. Freud e Kris, insieme ad altri autori contribuiscono a tale riumanizzazione teorizzando che la produzione di fantasie rivela significative informazioni sull’unicità del mondo interiore di chi le ha prodotte. Altri autori iniziano a riconoscere il potenziale dell’arte quale strumento da utilizzare nel trattamento riabilitativo.

Presto, il termine “arteterapia“ inizia ad essere utilizzato per descrivere una forma di psicoterapia che pone l’intervento a mediazione artistica, insieme a quello verbale, tra le modalità centrali di trattamento (Naumburg, 1950/1973).

Una delle tendenze che emergono con più forza in questo periodo all’interno della moderna psicologia è stata l’attenzione su metodi standardizzati di diagnosi e ricerca. Parlando dell’opera di un artista o di un individuo malato di mente, Kris (1952) pensa che entrambi mettano in atto lo stesso processo psichico e cioè “portare un’esperienza interiore, un’immagine interiore, nel mondo esterno”. Questo “metodo della proiezione” rappresenta la base concettuale per i test di disegno proiettivo che si sono evoluti in psicologia durante il XX° secolo.

Lo sviluppo dell’arteterapia

Tra i principali autori universalmente riconosciuti per aver contribuito allo sviluppo dell’arteterapia a partire in particolare dagli anni ’40 possiamo citare Margaret Naumburg ed Edith Kramer, i cui testi continuano ad essere usati quali fonti preziose nella letteratura sull’arteterapia contemporanea.

Margaret Naumburg, attraverso il suo lavoro pionieristico nell’innovativa scuola statunitense Walden ebbe modo di sviluppare le sue idee, iniziando negli anni ’40 a scriverne. A suo agio con il pensiero sia di Freud che di Jung, la Naumburg concepiva la sua “arteterapia dinamicamente orientata” come largamente analoga alla consuete pratiche psicoanalitiche. Le produzioni artistiche dei suoi clienti erano viste come comunicazioni simboliche di materiale inconscio poste in una forma diretta, concreta, senza censure, che lei pensava avrebbe aiutato nella risoluzione del transfert.

Edith Kramer assunse invece un altro approccio adattando i concetti della teoria della personalità di Freud per spiegare il processo arteterapeutico. La sua “arte come terapia” enfatizzava il potenziale terapeutico insito nel processo creativo ed il ruolo centrale che il meccanismo di difesa della sublimazione gioca in tale esperienza.

Altri autori sono in seguito intervenuti a documentare le esperienze e le evoluzioni di tale disciplina, fino ad arrivare ai giorni nostri, in cui l’arteterapia viene colorata da vari approcci che pongono l’attenzione su elementi di volta in volta differenti, che possono essere integrati anche a seconda degli obiettivi da raggiungere. Tra questi abbiamo quello psicodinamico, quello umanistico, quello dell’apprendimento e dello sviluppo, quello sistemico e della terapia familiare.
Attualmente l’arteterapia viene applicata all’interno di molteplici realtà e con molteplici finalità; per esempio con bambini, adolescenti, adulti, anziani, in contesti educativi, sociali, riabilitativi, legali, con finalità di recupero, superamento di traumi, sostegno emotivo ed affettivo, sviluppo delle facoltà creative.
(liberamente tratto da testi vari)

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