A CURA DI D. PICCHIOTTI
Filosofo, romanziere, drammaturgo, critico letterario e giornalista, impegnato nella maggior parte delle lotte politiche del suo tempo, Sartre appare come un uomo catturato dallo spirito di libertà ed intensamente presente sulla scena del mondo. A coloro che volevano impedire allo scrittore di protestare contro la guerra d'Algeria, De Gaulle dirà: «Non si imprigiona Voltaire».
Del filosofo illuminista, Sartre ha infatti molte caratteristiche: una curiosità vorace ed enciclopedica, una capacità di lavoro e d'intervento impressionante, una cultura immensa, classica per formazione, moderna per scelta, una volontà manifesta di cancellare le frontiere tra le varie discipline (filosofia, psicoanalisi e letteratura per esempio), ma anche tra i continenti, i popoli e le classi. Per Sartre, scrivere un libro e pensare si fondono e si confondono con l'impegno. È questo tipo d'intellettuale che sono venuti a piangere tutti coloro che, personalità illustri o anonime, accomunate da una intima fratellanza, lo accompagnarono il 23 marzo 1980 al cimitero di Montparnasse.
Con le sue lenti spesse - miope, diventerà quasi cieco nel 1974 -, i suoi mocassini senza età, le sue sciarpe, la sua pipa o la sue sigarette, Sartre è un’icona della Rive Gauche e l’archimandrita dell’ intellighenzia parigina. Il suo regno si estende nel minuscolo spazio metropolitano che separa il café Flore dai Deux Magots, da cui si scorge, di fronte, la brasserie Lipp e, a sinistra della chiesa di Saint-Germain-des-Prés, la libreria Gallimard. Sartre soleva frequentare i caffè, sia per incontrare amici che per lavorare, ed era anche un uomo di strada e di folla: in quanti cortei, manifestazioni, non è stato fotografato? Quanti luoghi, dove una intera comunità sembrava cercarsi continuamente, non ha occupato nel maggio del 68, ora la Sorbona, ora la fabbrica Renault di Billancourt, o anche la redazione di Libération? Seppur scontata, l'immagine si rivela giusta: Sartre ha voluto assolutamente essere uomo del suo mondo e del suo tempo. Si è sforzato di vivere molteplici esperienze, volendo restare padrone del gioco: la politica, la filosofia, la giustizia, la libertà, l'amore anche, il cui posto è stato importante nell'esistenza di quest'uomo in cui la scoperta della sua bruttezza (Le parole) non gli ha impedito di mettere in moto una capacità di seduzione che ha del leggendario.
L’universale singolare
Nato nel 1905 in una famiglia della borghesia agiata, Sartre appartiene ad una generazione brutalmente gettata nella furia dei tempi moderni dalla Prima Guerra mondiale. Contro il sogno di distruggere tutto nel mondo della letteratura e dell'arte - tale fu il progetto dada e surrealista – la scelta dello scrittore Sartre fu quella invece di cercare salvezza nella letteratura stante a quello che ironicamente, e senza realmente essere vittima del suo sogno, egli stesso scrive a quasi sessanta anni, nella sua autobiografia. L'essenziale è di cogliersi come un uomo singolo, ma la cui singolarità rinvii all'universale: questo concetto "del singolare universale" è fondamentale in Sartre, come lo saranno altre parole-chiave inscindibili dal frasario sartriano - situation, mauvaise foi, salaud, engagement, liberté. È per questo che si presenta ne Le parole come campione della sua generazione e della sua classe.
La cultura classica fa parte del suo bagaglio, ed il successo alla Scuola Normale a diciannove anni, in cui consegue la laurea in filosofia arrivando primo del suo corso, 1929, (l'anno in cui incontra Simone de Beauvoir) non fanno che confermare un forte radicamento nella tradizione culturale. Ma Sartre non si priverà tuttavia dei riferimenti della cultura contemporanea: i fumetti, i film di avventure visti con Anne-Marie, la madre quand’ era ragazzo e più tardi la passione per i romanzi polizieschi, l'interesse per tutte le manifestazioni moderne dell'arte e l’attrazione per le città americane sono alcuni esempi. Professore a Le Havre, a Berlino, nel 1933 -1934, in anni decisivi, avendo Hitler preso il potere nel 1933, a Neuilly infine. Sartre abbandona l'insegnamento alla Liberazione per dedicarsi alla sua attività di scrittore. Ma, lasciando la carriera d’insegnante, Sartre non ne abbandonò i modi, e si può dire che fu, per trent’ anni, il professore dei francesi alla ricerca di un maestro.
Filosofo di formazione, Sartre scrive molto durante gli anni di gioventù alternando saggistica e narrativa: un saggio su L'immaginazione (1936), La trascendenza dell'ego (1937) (in queste prime opere di psicologia fenomenologica, l'influenza di Husserl è netta); un romanzo, La nausea (1938); novelle, Il muro (1939), e lavora al ciclo romanzesco che diventerà "Les chemins de la libertè" (1945 -1949). Ispirandosi alle tecniche di Joyce e dei romanzieri americani (Faulkner, Dos Passos), Sartre si sforza, in queste narrazioni, di cancellare la presenza del romanziere per lasciare i suoi personaggi riportare da soli la loro esperienza immediata e riportare soltanto questa.
La prima forma di scrittura che Sartre sviluppa, dunque, parallelamente alla riflessione filosofica è la scrittura narrativa, romanzesca, senza ricercare una saldatura tra le due: al contrario, La nausea è come un saggio sul contingente (in filosofia: ciò che è gratuito, non necessario, ipotetico) e sono pertanto i filosofemi esistenzialisti che sottendono l’esistenza angosciata di Roquentin, il personaggio principale, che tiene un sorta di diario dove sembra soffocato dalla coscienza dell'esistenza, questa cosa enorme che «nessuno vuole guardare in faccia» (Il muro).
Questa visione del mondo predominata dal disgusto, dalla disperazione, dal dolore inferto dalla gratuità delle cose e percorsa da immagini oscure e vischiose, caratterizza il primo Sartre, che diffida molto delle ideologie sia estetiche che politiche (marxismo, surrealismo), sedotto com’è da questa morale esistenzialista secondo la quale l'uomo deve costruire il suo modo di vivere, poiché «l'esistenza precede l’essenza» e l'uomo si definisce in rapporto agli altri. Esistere, è dunque essere nel mondo, essere per l’altro, e quest'esistenza deve essere colta in modo concreto e storico. La libertà è la caratteristica fondamentale dell'esistenzialismo sartriano: poiché Dio non esiste, l'uomo è soltanto ciò ch’egli vorrà essere e ciò che farà.
L’urto brutale tra Sartre e la storia – coscritto militare, prigioniero in Germania, dalla quale scappa – incarna questa filosofia, e porge un contenuto concreto alle parole esistenza, libertà, impegno. Ed è la storia ancora che offre le quinte ai romanzi del ciclo "Les chemins de la liberté", L'età della ragione, Il rinvio, cominciati nel 1939 e pubblicati nel 1945, mentre La morte nell’anima, uscirà nel 1949: la vicenda del ciclo si svolge dal 1937 al 1940, adotta la tecnica “simultaneista”, e mescola personaggi ed intrighi su sfondi di viltà, di vite murate, che la storia si incarica di fare scoppiare.
Alla Liberazione, Sartre, Simone de Beauvoir ed i loro amici - Queneau, Leiris, Giacometti, Vian e Camus (con il quale le relazioni non sono facili) - diventano improvvisamente famosi: gli esistenzialisti, i resistenti, la sinistra, i giovani intellettuali che frequentano Saint-Germain-des-Prés sono più o meno confusi all'occhio del grande pubblico. Sartre è inviato negli Stati Uniti dal giornale Combat per “coprire” la conferenza di Yalta. Al suo ritorno spiega che cos' è l'esistenzialismo in una conferenza a Parigi: "L'esistenzialismo è un umanesimo." Fonda, questo stesso anno 1945, la rivista Les temps modernes. La gloria attira l’odio: non c’è stato intellettuale più pervicacemente detestato di Sartre - dai cristiani, dai comunisti, dai benpensanti - come anche da Céline, che lo definisce "il rivoluzionario alla birra".
A partire da questo momento, Sartre, e con lui Simone de Beauvoir, non lasciano più la scena. La scrittura drammaturgica, scoperta in piena occupazione, inseparabile ai suoi occhi dal resto della storia e dell'azione collettiva, finisce col completarne ed ampliarne la celebrità che si estende ben al di là dei confini della Francia. Sotto l'occupazione, aveva scritto e fatto recitare Le mosche (1943), anno anche della pubblicazione del suo immane lavoro filosofico, L’essere e il nulla - dove si manifesta l'influenza di Husserl -, come anche Porte chiuse (1944). Nel 1946, pubblica La puttana rispettosa e Morti senza sepoltura; nel 1948 Le mani sporche. La sua concezione del teatro lo induce a rifiutare il teatro psicologico e realistico, fondato su personaggi e caratteri, quanto il teatro d'intrattenimento.
Raccomanda un teatro dove si discutano le grandi questioni contemporanee, attraverso personaggi presi in situazioni limite, violente, la cui sfida è sempre la libertà, la responsabilità, il senso dell’esistenza, estremi predicati spesso in contraddizione con l'azione. Oreste, nelle Mosche, si definisce con l'omicidio che compie, omicidio giusto poiché si oppone all'abuso del potere ed alla tirannia. I tre personaggi di Porte chiuse (riuniti in un salone per l'eternità poiché sono già morti) sono condannati per sempre a giudicarsi e ad essere giudicati, essendo ciascuno prigioniero della
coscienza dell’altro - da cui la formula famosa: «L'inferno, sono gli altri». («L'enfer, c'est les autres »).
La logica rivoluzionaria
Alcune pièces teatrali come Le mani sporche, ponendo la questione della logica rivoluzionaria (che può condurre ad uccidere) e della coscienza che vi si oppone, o come Il diavolo ed il buono dio (1951), o I sequestrati di Altona (1959) - la prima che rinvia a una contrapposizione netta tra Satana e Dio, mentre l'eroe cerca il senso della sua esistenza attraverso l'azione, la seconda dove un ufficiale nazista è trascinato davanti ad un tribunale immaginario - testimonia il posto di rilievo della politica in questo teatro: come in Grecia, la scena è un’agora dove un popolo sfinito ma esigente vede esposti i problemi principali della città Altre pièces (Kean, adattamento da Dumas,1953; Nekrasov, satira dell’ambiente giornalistico,1955; o anche un rifacimento de Le troiane, da Euripide,1965) testimoniano l'interesse di Sartre per il teatro, come per le arti della comunicazione in generale. Sartre ha scritto molte sceneggiature cinematografiche, ha concesso numerose interviste, ed ha partecipato assiduamente a conferenze e trasmissioni radiofoniche.
La Critica della ragione dialettica (1960) segna una svolta. Il marxismo, fino – ad allora ignorato da Sartre, ormai è ammesso come dato ineludibile, ma il suo progetto intelletuale non è sostanzialmente modificato. Le strutture socioeconomiche appaiono come elementi esterni e inerti, con e contro i quali la libertà degli uomini dovrà sempre misurarsi.
L’ impegno politico si estrinseca nella continua attività giornalisticaa, che va dalla collaborazione a Combat fino alla direzione del giornale maoista la Cause du peuple, del trotzkista Révolution, fino a Libération. Esperienze che occorre mettere sullo stesso piano, perché significano la stessa volontà di essere presenti per testimoniare, denunciare, agire, come anche le numerose prefazioni ad opere letterarie e politiche spesso contestatarie e marginali (per Genet, Leibowitz, Fanon).
Terzomondista convinto, Sartre, ad esempio, ha prefato le opere di Senghor e Lumumba. Nella commovente prefazione-manifesto alla ripubblicazione di Aden-Arabia, riabilita in modo vibrante il suo amico Paul Nizan, ferocemente attaccato dai comunisti. I dieci volumi di Situazioni (1947 -1976) raccolgono tutto questo immane lavoro critico e politico.
Testimonianza delle sue collere, dei suoi odi e delle sue passioni, i testi di Situazioni disegnano un percorso politico originale. Attraverso l’ RDR (Rassemblement démocratique révolutionnaire), sogna una terza via (tra stalinismo gollismo), al maoismo, passando per tappe complesse e depistanti per tutti coloro che lo avrebbero voluto di una sola parte, la loro. Prende posizione a favore di Israele al momento della creazione dello Stato ebreo, nel 1948, preceduta dalle Riflessioni sulla questione ebraica (1946), dove Sartre sostiene che il problema non è la questione ebraica ma quella dell'antisemitismo; denunzia i campi di concentramento sovietici, con Merleau-Ponty, nel 1950; rompe l’alleanza coi comunisti in occasione della guerra fredda, prima che l'intervento sovietico in Ungheria consumi la rottura definitiva con il PCF che tuttavia non disprezzerà mai; sostiene la virulenta posizione anticolonialista di Temps modernes (firma il manifesto dei 121,contro la guerra dell'Algeria, e, con Gisèle Halimi e Simone de Beauvoir, pubblica una saggio sulla tortura, Djamila Boupacha, nel 1962). Stesso ardore contro la guerra del Vietnam e stesso impegno nel maggio 68 a fianco degli studenti e degli operai.
Nel corso di una vita così occupata, la scrittura tuttavia tiene il posto principale, e benché gli venga conferito il premio Nobel nel 1964 Sartre lo rifiuta, trovandolo troppo legato al blocco occidentale. Lo merita certamente: romanziere, drammaturgo, saggista, filosofo, Sartre è anche uno straordinario critico letterario. Inventore della "biografia esistenziale " pensata per questi "lavoratori
dell'immaginario", doppi o fratelli, per i quali l'autore di Che cos’è la letteratura? (1947) tende a ricomprendersi – da Baudelaire (1947) a Genet (Saint Genet, attore e martire, 1952) e soprattutto a
Flaubert (L'idiota della famiglia, 1971 -1972, incompiuto) - fonda un metodo critico molto personale, che arriva al "romanzo vero" dell'autore affrontato ed il cui punto di partenza è sempre lo
stesso: «Come si diventa un uomo che scrive?» In questo confronto con altri immaginari, la letteratura perde la sua definizione immediata, impegnata, che consiste nel rivelare il mondo per cambiarlo e diventa cosa più torbida e più angosciante, potere di annientamento, stupore dove gli esseri scompaiono, poiché scrivere è decidere di assentarsi dal mondo. Essendo un autore autentico, dunque quello che «ha più o meno scelto l'immaginario», Sartre appartiene ad un'età che si può solo temere definitivamente tramontata, dove, per volere cambiare il mondo, occorre anche proclamare i diritti e il potere dell’immaginazione.