martedì 8 settembre 2009

INCONSCIO: Considerazioni di Sigmund Freud

A CURA DI DANILO PICCHIOTTI
Con il termine inconscio Freud intendeva un complesso di processi, contenuti ed impulsi che non affiorano alla coscienza del soggetto e non sono quindi controllabili razionalmente. Egli riferì il termine dapprima ad una parte della mente in cui si trovano i contenuti psichici rimossi, per poi passare ad indicare i contenuti stessi che possono riaffiorare nei sogni in forma simbolica, o manifestarsi come atti mancati, come i lapsus e le distrazioni. In sintesi nella nostra psiche esiste una dimensione incoscia e irrazionale, in cui si annidano una serie di istinti e desideri il cui contenuto non si manifesta a livello cosciente, ma la cui soddisfazione è necessaria, pena il manifestarsi di disturbi del comportamento più o meno gravi. Il fatto che ritenesse i contenuti inconsci per lo più di natura sessuale va collegato alla morale dell'epoca e delle precedenti, e particolarmente alla repressione della sessualità, essendo oggi dimostrata la validità dell'intuizione generale: l'inconscio è sede di ogni processo psichico che debba restare inaccessibile al pensiero cosciente e comprende una parte di quelli attinenti alla sfera sessuale.
L'interiorità umana, quella che tradizionalmente era definita anima o psiche ed era ritenuta indistintamente la sede della razionalità, della volontà e delle emozioni, venne perciò indagata come un complesso di luoghi diversi, ciascuno dotato di una sua forza e di una sua autonomia. Era così possibile conoscere particolari aspetti della personalità soltanto percorrendo vie molto tortuose. Poteva essere quindi necessario analizzare i sogni dei pazienti o le loro manifestazioni di ansia, oppure prestare attenzione ad alcuni gesti quotidiani, od a espressioni e modi di dire apparentemente insignificanti. L'inconscio in sostanza era una ragione, che trascendeva quella dell'Io, e che comunicava attraverso le sintomatologie la verità non consapevole. L'ottimismo terapeutico di Sigmund Freud fece dell'inconscio un luogo dotato di senso, che richiedeva un'ermeneutica, una capacità interpretativa specifica.
Più avanti, Sigmund Freud nell'illustrare il nuovo statuto dell'Io, introdusse la nuova istanza dell'Es, che descrisse riportando le parole di Georg Groddeck come "la forza ignota e incontrollabile da cui veniamo vissuti". Al di là della collocazione topica delle nuove istanze, il padre della psicoanalisi invitò a non considerarle quali entità separate, mettendo in guardia dal sostanzializzarle. Su queste considerazioni psicoanalisti post-freudiani si basarono per ipotizzare la possibilità di un'ereditarietà stessa dell'Es. Benché Sigmund Freud non abbia potuto scrivere nulla di assoluto in merito, è bene comunque ricordare che nelle frammentarie annotazioni che questi prese nell'estate del ’38, quindi poco prima di morire, contenute sulle due facciate di un foglio considerato il suo testamento programmatico, scrisse di possibili mutamenti sull'ipotetica vestigia ereditaria dell'inconscio, e ciò indicherebbe la mancanza di uno statuto d'attinenza definitiva della psicoanalisi.
Freud riteneva che il sogno fosse una manifestazione psichica, onirica, mirata alla realizzazione di un desiderio pulsionale non realizzato nella realtà, che attingeva i propri contenuti latenti dall'inconscio. I lapsus, le forme d'amnesia momentanea ed i falsi ricordi non sono casuali. Con la "strutturazione" Sigmund Freud ci indica che la psiche è strutturata in: Io - Es - Super-io. L'Es rappresenta l'istinto, la pulsione, completamente mutuate dall'inconscio. Il Super-Io è il "precipitato" degli insegnamenti morali, sociali ed educativi, ed esita tra contenuti consci e inconsci. L'Io è il mediatore tra l'Es ed il Superio (tra istanze pulsionali e morali).
Inconscio collettivo.
Carl Gustav Jung ha fortemente contribuito a fare chiarezza sul concetto e sulle definizioni del termine inconscio. Nei suoi studi ha distinto l'inconscio personale dall'inconscio collettivo. Con questo termine egli indica l'insieme dei contenuti psichici universali preesistenti all'individuo e legati al complessivo patrimonio della civiltà, e, propriamente, gli archetipi.
L'inconscio collettivo, secondo lo psicologo svizzero, si manifesta attraverso archetipi che trovano il loro riferimento nel patrimonio storico-culturale di un vasto gruppo o dell'intera umanità e si presentano nei simboli onirici e nelle allucinazioni, ma anche nelle visioni dei mistici, nei riti religiosi e nelle opere d'arte. La scoperta dell'inconscio e le elaborazioni della psicoanalisi hanno avuto, dopo una prima forte resistenza, un grande impatto sulla nostra civiltà: non a caso il sostantivo inconscio è diventato parte del vocabolario comune, superando i limiti della terminologia tecnica della medicina.
Non possono essere poi dimenticate le intuizioni pre-psicoanalitiche di Friedrich Nietzsche che, in seguito, avrebbero destato un certo interesse in ambienti psicoanalitici e che ebbero notevole influenza, in particolare, sul pensiero di Jung. Nietzsche riconosce nelle norme morali una funzione di censura degli impulsi e degli istinti vitali dell’uomo, di cui inibiscono la libera espressione. Chiama questa funzione inibitrice, con suggestiva espressione: “Spirito di gravità”. In tal modo – secondo il filosofo tedesco – l’uomo diviene inconsapevole di ciò che realmente è e gli viene preclusa una piena integrazione della personalità. In molti passi della più celebre opera nietzschiana “Così parlò Zarathustra” vi è un chiaro riferimento a forze inconsce che nell’uomo reclamano espressione:
“Tutto ciò che uno possiede è per lui che lo possiede ben nascosto: e di tutte le miniere preziose la propria è l’ultima ad essere scavata – ed è opera dello spirito di gravità. Siamo ancora nella culla e già ci danno parole e valori pesanti: «bene» e «male» - così si chiama questo viatico”. “Soprattutto l’uomo forte, paziente, che ha in sé reverenza: troppe parole e valori estranei carica su di sé – così la vita gli appare un deserto!” “Molta bontà e forza nascoste non vengono scorte; i più saporiti bocconi non trovano buongustai!” (“Così parlò Zarathustra”,

Arte: ARTE E PSICOANALISI-IL SURREALISMO

A CURA DI DANILO PICCHIOTTI

Dopo il 1920, cioè dopo la prima guerra mondiale, in Europa, si manifestò, in concomitanza con la diffusione della psicoanalisi di Freud, un movimento artistico che si chiamò SURREALISMO, da sur-realtà, realtà ‘altra’, sovrastante o sottostante, ma comunque a un livello diverso rispetto alla coscienza.
Freud e Jung avevano ipotizzato una nuova categoria cognitiva: l’inconscio, ovvero la parte ignota di ognuno, il luogo misterioso della psiche che preordina e suscita il comportamento non cosciente, la realtà non immediatamente visibile o livello più profondo dell’essere.

Partendo dalle associazioni automatiche che Freud aveva usato in analisi per interpretare i sogni, si cercò di liberare l’inconscio attraverso l’automatismo nell’arte. I surrealisti tentavano di contattare l’inconscio e di farlo esprimere direttamente, senza l’intermediazione delle categorie culturali, estetiche, sociali, morali convenzionali. Si voleva che l’inconscio si rendesse visibile realizzando la sua trascrizione immediata. Così si alterarono i canoni stessi della produzione artistica o le sue condizioni, componendo o dipingendo ciò che era emerso nel sogno o ciò che poteva affiorare in stato ipnotico, automatico, di trance o comunque in stato alterato di coscienza, escludendo qualunque forma logica, grammaticale, metrica o procedurale consueta, ma anzi forzando il mezzo stesso con procedimenti casuali e innovativi e con l’accettazione di contenuti nuovi e rivoluzionari.
L’inconscio doveva parlare direttamente col suo linguaggio, il suo codice simbolico, le sue associazioni, le analogie, le correlazioni… Sul tavolo della visione potevano stare insieme, come diceva Comte de Lautreamont, come su un tavolo operatorio, una macchina da cucire e un ombrello.
Gli interni metafisici di de Chirico precedettero il surrealismo senza farne parte ma contribuendo alla sua atmosfera sognante.
L’inconscio è, per eccellenza, la sorgente delle visione, in obbedienza a un principio non di realtà, cioè asservito alla logica consueta, ma di surrealtà, cioè volto all’evocazione di un significato ‘altro’. Il significato è l’allargamento del quadro della realtà ordinaria attraverso lo spaesamento che spezza le barriere claustrofobiche dell'io.
L’inconscio è l’altro linguaggio, l’altra realtà, dove questo mondo contingente e visibile si deforma o si congiunge in modi estranianti o anche vale solo in quanto simbolo. La realtà visibile diventa indicatore di una realtà invisibile. Vivo qui, ma sono altrove. Mi esprimo a questo livello ma attraverso me parla un altro livello.
Più tardi, con l’astrattismo e l’arte informale, la figurazione sarà totalmente abbandonata per il colore puro o il segno non più portatore di oggettualità ma di energia, allora i guizzi primari del dinamismo esploderanno come i colori di Mirò o l’astrattismo di Kandinskij ed ecco che inconscio, psicoanalisi e surrealismo detteranno l’evoluzione dell’arte moderna. Ma di per sé il surrealismo non è espressionista, né astratto né informale, parte ancora dalle figure riconoscibili della realtà visibile, ma estraniandole in un diverso contesto, deformandole o usandole in modo simbolico.
Dall’inconscio si trae uno dei suoi prodotti primari: il sogno. Molti quadri o poesie sono composti come tracce di sogno o come si facessero sognando. La mente umana ha questa capacità di agire l’emisfero destro o dell’intuizione, come se dormisse da sveglia. E’ lo stesso modo di attivare la magia o il paranormale.
Ogni artista sognò a suo modo: Chagall usò potentemente un simbolismo onirico sacro; Magritte accostamenti giocosi, ludici; Ernst incubi distorsivi. Ma tutti pescarono contenuti e forme dal sogno.
Un altro punto di connessione fra gli artisti fu il marxismo. Quasi tutti i surrealisti vi aderirono. L’obiettivo politico era simile a quello artistico: cambiare la coscienza (psicoanalisi) e cambiare la società (lotta politica), per questo molti surrealisti si iscrissero alla Terza Internazionale Socialista e per questo la loro rivista fu titolata ‘Il surrealismo al servizio della rivoluzione’. In ambedue i casi (politica o arte) il loro lavoro era contro la società borghese che controllava le leve del potere economico, politico e culturale (non Dali’ che fu un reazionario).
L’inconscio è la struttura base della psiche, così come l’economia è la struttura base della società. Freud rompeva i tabù della morale vittoriana e faceva risorgere l’io dai suoi condizionamenti, portando alla luce i contenuti rimossi, così come Marx rompeva i tabù della società borghese e portava avanti la lotta della classi represse. Il periodo storico era quello della rivoluzione marxista, della riappropriazione del proprio potenziale, di classe come della psiche. Surrealisti e marxisti erano spinti dallo stesso anelito di liberazione da sovrastrutture alienanti.
Ovviamente all’interno del movimento artistico si distinsero componenti più ideologizzate e altre, come Eluard, più morbide. Potremmo anche dire che arte e ideologia non si legano bene. Ogni volta che l’ideologia ha prevalso sull’arte, come nell’estetica sovietica, nazista o fascista, i risultati sono stati deprimenti.
L’arte è per antonomasia libertà; l’ideologia è, per sua natura, conformazione.
Ma anche guardando al riferimento psicoanalitico, è chiaro che la preferenza per Freud o per Jung dette luogo a estetiche diverse. Non ha importanza che l’artista li conosca o no, è il modo con cui si riferisce al proprio inconscio che crea mondi diversi. Non a caso il programmatico e lineare Freud è sempre piaciuto ai razionalisti, siano essi marxisti o positivisti in genere; in questo caso si parla si sogno, di inconscio, di associazioni automatiche e di simbolo con accezioni molto ristrette e quasi meccaniche. Chi invece vive le complessità oniriche e coscienziali al modo di Jung (sia che conosca o meno lo psichiatra svizzero), vive il proprio inconscio e lo manifesta con una ricchezza di simboli e di tonalità molto diversa. E’ proprio una questione di prevalenza dell’uno o dell’altro emisfero cerebrale a creare una differenza di vissuto e di interpretazione.
Freud è materialista, Jung spiritualista. Quindi dove c’è materialismo troviamo Freud; dove c’è spiritualismo troviamo Jung. Non sono comparabili, come non sono comparabili i termini ‘inconscio’, ‘sogno’, ‘simbolo’ ecc. nelle loro accezioni. Per esempio un poeta come Eluard può anche dichiararsi marxista ma la sua sensibilità di tipo emozionale, sentimentale, femminile lo porta più verso Jung. Tuttavia anche per il dolce Eluard l’estetica surrealista rientrava nell’attacco alla ipocrisia borghese, perché ciò stava nel DNA della gioventù del tempo.
Ma Eluard era un sentimentale e dunque visse la rivoluzione come visse l’amore, con sentimento.
Ricordiamo anche che in questo periodo gli artisti europei cominciano a interessarsi delle creazioni dei bambini, dei malati di mente, dei primitivi, tutti più vicini all’inconscio dell’uomo civilizzato, dunque capaci di manifestarlo con maggiore immediatezza, senza le sovrastrutture alienanti della civilizzazione. Masson, per esempio, produsse dipinti sulla sabbia, dopo aver visto l’arte degli Indiani d’America e tentò di evocare i poteri magici delle ruote di medicina. I primitivi affascinarono Picasso come molti altri per l’elemento magico e la valenze misteriche dei loro prodotti artistici.
L’oggetto prevalente nei surrealisti fu il sogno. Il sogno non promana dall’emisfero razionale ma ha un proprio linguaggio evocativo che non è logico ma analogico, svincolato dalla normale concatenazione degli eventi o degli oggetti e tale da escludere anche le costrizioni lineari del tempo o le univocità dello spazio. Il sogno usa ampiamente il simbolo e la metafora. E’ un linguaggio visionario, nel doppio significato di parlare per immagini e di varcare le coordinate ordinarie della realtà.
Proprio perché è un linguaggio visionario e analogico, lega gli elementi della realtà così da trascenderla e fare di essi solo degli indicatori di qualcosa che sta oltre.
Il teorico del surrealismo fu nel ’21 lo scrittore André Breton, che produsse il Manifesto, partendo dalla ‘Interpretazione dei sogni’ di Freud. Breton parla di “automatismo psichico puro!”, che libera la mente dai freni inibitori e lascia vagare le immagini. Così facendo, si può sognare da svegli. Ma il surrealismo diventa l’equivalente, in arte, delle visualizzazioni junghiane più che delle meccaniche interpretazioni freudiane.
Fecero parte del movimento Marx Ernst, Juan Mirò, René Magritte, Salvator Dalì…
Invece De Chirico coi suoi interni metafisici, che può essere considerato una delle fonti, non ne fu protagonista. La poetica surrealista coinvolse inoltre Picasso e Klee. Il gruppo non fu affatto omogeneo né per personalità o stili o metodi.
Si inventarono tecniche: collage; frottage (Ernst), che consiste nello strofinare una matita su un foglio sovrapposto a una superficie ruvida, ottenendo impronte casuali; grattage in cui si raschiano i pigmenti dalla tela ottenendo linee intricate; decalcomania che consente di trasportare un disegno da un foglio opportunamente trattato su una superficie di vetro o metallo (Oskar Domiguez); pittura automatica (Masson, Mirò, Tanguy); quadri di sabbia (Masson); rayografia (Man Ray), applicando sul materiale fotosensibile in camera oscura delle mascherature opache o translucide, addirittura a volte degli oggetti, ottenendo immagini negative, senza l'ausilio della fotocamera; fumage (Wolfgang Paalen); fotomontaggi; doppia immagine, per cui disegnando un oggetto ne esce uno diverso; composizione tipografica ecc.. Hans Arp per esempio produce collage di spaghi cuciti, carte strappate, legni affastellati ecc.
Il surrealismo aprì all’astrattismo ma non fu astratto, conservò le forme, le figure, come il sogno conserva gli elementi figurativi della realtà, estrapolandole, facendole uscire dal contesto, combinandole in modi estranianti, per cui un oggetto poteva subire una metamorfosi, come la donna-albero di Delvaux o il corpo-paesaggio di Magritte. La metamorfosi squilibrava il senso usuale dell’oggetto trasponendolo nel simbolo attraverso l’evocazione di un altro senso, un altro ordine.
Il surrealismo annovera artisti molto diversi. Volendo, possiamo distinguere chi crea accostamenti inusuali come Magritte con effetto di non sense, o chi deforma gli oggetti come Ernst con le sue figure incubo o Tanguy con i suoi esserini lunari o Masson con le sue tele metamorfiche. Le parole o le immagini potevano avvicinarsi o sostituirsi per legge associativa (Freud) o simbolica (Jung); per esempio l’uso che dei simboli fa Chagall è prettamente junghiano: il viso delle persone amate è dipinto col verde che rappresenta il cuore saggio, il violinista sul tetto è l’arte vicina al cielo, le corna di toro sono l’elemento istintuale legato alla terra, il blu è l’amore spirituale ecc. Magritte crea accostamenti scherzosi per mettere il scacco la mente razionale; Dalì immagini rutilanti; Ernst incubi patologici… Tutte le forme del sogno sono attraversate, da quello bizzarro a quello giocoso, all’angosciato, all’infernale…
I surrealisti rifiutano l’arte per l’arte, intendono l’arte come espressione dell’inconscio. Per questo le loro vie risultano produttive in psicoanalisi, nei laboratori psicologici che nascono da Jung in poi e usano forme espressive in cui non si dà alcuna valutazione estetica all’opera o alcun controllo logico o formale o morale o di altro tipo convenzionale, ma solo si ascolta e si guarda e si partecipa. Lo scopo è manifestare gli stati psichici e, attraverso l’arte, liberarli e sanarli. Da un articolo di viviana vivarelli