domenica 25 gennaio 2009

Arte Contemporanea e moderna Opere dei più importanti artisti

RICERCHE A CURA DI D. PICCHIOTTI

“La maniera di formare idee è ciò che dà un carattere allo spirito umano. Lo spirito che non forma le proprie idee che su rapporti reali è uno spirito solido; quello che si accontenta dei rapporti apparenti è uno spirito superficiale; quello che vede i rapporti tali quali sono è uno spirito giusto; quello che inventa rapporti immaginari che non hanno realtà né apparenza è un pazzo; colui che non confronta affatto è un imbecille. La maggiore o minor capacità di confrontare idee e di trovare rapporti è ciò che rende gli uomini più o meno di spirito.” Basta un giro di poche laconiche parole a questo Rousseau; gli sono sufficienti sei righe, tratte dall’Emilio, per inquadrare la nostra società come un gruppo di individui senza spirito, o più semplicemente come un branco di imbecilli.
- Rousseau era un tipaccio aspro, tronfio e grassoccio, era un tizio scorbutico che amava giudicare gli altri dal suo piedistallo di ipocrisie. Lui che con l’Emilio tenne tanto all’educazione dei nostri figli ne abbandonò ben cinque (suoi) per strada. Non vorrei mai, alla stessa stregua di Rousseau, essere tanto arrogante, e nemmeno tanto grassoccio, ma purtroppo devo - mi tocca - costatare che tra i nostri simili l’imbecillità non manca. La nostra società presente non ha più alcuno stimolo alla critica e alla comparazione, manifesta un solo sintomo, ma il più grave di tutti: l’indifferenza. Non si può non essere concordi con Cornelius Castoriadis quando afferma che la nostra società ha cessato di mettersi in discussione, è un genere di società che non concepisce più alcuna alternativa a sé stessa e che per questo si sente esentata dal dovere di esaminare, argomentare, giustificare, la validità dei suoi postulati, espliciti e impliciti. Questo è di qualche conto anche per l’Arte, per il ruolo dell’Artista nella società ed ha qualche importanza anche per la Musica come espressione impura dell’anima stessa di una popolazione.
La critica portata avanti dagli artisti, e parzialmente dai grandi cantautori, del ‘900 collimò in più parti con la teoria critica classica come formalizzata da Marcuse, Adorno e Horkheimer. La teoria critica classica nasceva in quella prima modernità pesante caratterizzata da una forte tendenza totalitaristica delle istituzioni, da una società dell’omogeneità obbligatoria che era il nemico giurato della contingenza, della varietà, dell’ambiguità, della stravaganza, dell’entropia, ed era determinata a distruggerle; le prime vittime della crociata furono prevedibilmente la libertà e l’autonomia. I grandi cantautori dei tempi “nostri”, da Woodie Guthrie a Fabrizio De André, così come tutta una serie di correnti e movimenti musicali declinati dal Blues al Punk, tentarono pedissequamente di ribadire la propria indipendenza e desiderio all’autodeterminazione, di ricomporre i confini individuali ridiscussi da una società invadente e coercitiva. Il Potere era contestato, non aveva un volto, ma aveva una solida e stabile posizione, e in quella si doveva colpire; all’altare delle istituzioni si potevano portare le proprie istanze e se questa strada era di poco successo per gli individui comuni, non altrettanto si può dire per gli artisti e per i personaggi della canzone, che negli anni delle rivolte mobilitarono molte opinioni e influenzarono il corso sociale.
- Oggi sia il movimento Punk che Horkheimer dovrebbero rivedere le loro posizioni e volgere le loro considerazioni e proteste in altro senso. L’avvento dell’era post-moderna segna il declino delle icone della modernità solida e pesante, della società totalitaria e dei suoi simboli. Declina la fabbrica fordista con il suo lavoro banalizzante e routinario, si sgretola la burocrazia di Max Weber, divengono risibili le immagini del Panopticon di Bentham e Foucault, si aprono le rigide gabbie di ferro della società che si scioglie in una effimera rete di relazioni. La distopia di Orwell e del suo Grande Fratello che non dorme mai, sempre pronto ad assegnare premi e punizioni ai fedeli e agli infedeli, ai rispettosi e ai dissidenti, precipita portandosi con sé le paure, le ossessioni e le apprensioni della prima modernità pesante, che delimitavano gli orizzonti dei progetti di emancipazione.
Oggi l’irruzione di altri temi e paure nel dibattito pubblico hanno fatto da molte parti gridare alla fine della modernità. In realtà, osserva oggi Zygmunt Bauman, la società che entra nel ventunesimo secolo non è meno “moderna” della società che entrò nel ventesimo; al massimo si può dire che è moderna in un modo piuttosto differente. Ciò che la rende moderna è ciò che distingue la modernità da tutte le altre forme storiche di coabitazione umana: una modernizzazione coattiva e ossessiva, continua e inarrestabile, la pulsione endemica e irresistibile alla distruzione creativa ovvero alla creatività distruttiva: ripulire il terreno in nome di un progetto migliore, smantellare il passato per fare largo al futuro, eliminare gradualmente le vite di scarto, ritagliare e rendere flessibile il lavoro, tutto a vantaggio di una maggior competitività. Questa società non ha soppresso il pensiero critico in quanto tale, né ha costretto i suoi membri fino a impedire loro di esprimerlo. E’ anzi vero l’opposto: essa ha fatto della critica della realtà, del disamore per “ciò che è”, una componente al contempo inevitabile e obbligatoria dell’esistenza di ciascuno dei suoi partecipanti. La libertà senza precedenti che la nostra società offre ai suoi membri ha portato con sé, come ammonì Leo Strass molti anni fa, un impotenza senza precedenti, il diritto e il dovere di essere soli. Il potere, rifacendoci ancora alle parole di Bauman, è il potere senza volto e senza luogo della globalizzazione economica, che annulla ogni fermo punto di riferimento, introduce la flessibilità e preannuncia l’incertezza nelle nostre vite, rende inadeguate le istituzioni dello stato nazionale moderno e affannosa la rincorsa dei cittadini per rimanere nella società dei consumi. Il potere non ha più alcuna ambizione di prefigurare la società del futuro uniformandola ad un modello equo e giusto, di guidare con la coercizione il corso delle nostre vite, il potere oggi introduce una forma di controllo assai meno dispendiosa, ci tiene in scacco lasciandoci soli, levandoci una solida presa sul presente e conseguentemente, qualsiasi capacità di programmazione futura e autodeterminazione.
La critica è stata neutralizzata e si trova oggi a dover riprendere coscienza dei cambiamenti, è oggi in disarmo, ha smesso scoraggiata di svolgere un il proprio ruolo vuotato dei precedenti ideali. La nostra situazione affonda in un mare di indifferenza che è l’unica arma di difesa valida a breve termine nei confronti dell’incertezza di ogni giorno. Da quando Margaret Tatcher ha sentenziato che la società, per la Politica, è morta, demandando qualsiasi responsabilità agli individui, costringendo i nuovi cittadini globali a non fare più affidamento su alcun interlocutore istituzionale, ma solo sulle proprie capacità di trovare (come suggerito da Beck) soluzioni biografiche a contraddizioni sistemiche, è tramontata la vecchia domanda “che ruolo ha la critica e quali sono i suoi obiettivi?”, sostituita dall’alba di un nuovo interrogativo, “chi svolgerà il ruolo critico e quali attori si faranno carico di accogliere le nuove istanze?” ovvero ci sarà qualcuno a criticare e, soprattutto, ci sarà qualcuno disposto ad ascoltare quelle critiche?
Nel globo sempre più frammentato, sempre più singolarista ed individualizzato, se anche le istituzioni e le agenzie di valori hanno smesso di perseguire progetti di lungo periodo e lasciato ogni volontà di orientare l’azione collettiva, pare remota l’ipotesi che le coscienze si mobilitino. Solo in una temibile rinascita romantica sembra nascondersi una via di uscita, solo ridando all’Arte e all’Artista il compito di guidare la critica alla società del nulla si potranno scovare valide alternative all’unica regola Il ruolo dell’artista oggi non è più la protesta contro istituzioni totalizzanti e coercitive ma verso istituzioni latenti che hanno lasciato il campo sgombro; l’Artista deve ricucire una qualche cornice comune attorno ad individui sempre più uguali nei loro destini ma sempre più soli nelle proprie vite. L’Artista di oggi riferisce all’uomo dei suoi errori cognitivi, combatte la battaglia contro il disordine che il potere economico usa per tenere la società sotto assedio e non avere vincoli, riporta alla mente umana l’importanza di confrontarsi e giudicare, di esperire modelli valoriali e di vita alternativi e non indifferenti o, ancora, di risanarsi da un’imperante, ipertrofica imbecillità. .Fonte usata per questo articoloe' la rivista d'arte Kult Underground,

martedì 20 gennaio 2009

la transavanguardia è l'unico movimento artistico che oggi si presenti come un fatto nuovo sulla scena culturale contemporanea.

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Dialogo tra A.B.O. e Giulio Carlo Argan, 1981
Estratto dal catologo
G.C.A.: Riconosco che la transavanguardia costituisce un fenomeno rilevante nel quadro non soltanto della cultura artistica ma della situazione culturale in generale. Debbo constatare inoltre che la transavanguardia è l'unico movimento artistico che oggi si presenti come un fatto nuovo sulla scena culturale contemporanea.

Ci sono evidentemente ancora artisti che operano secondo diversi indirizzi poetici, ma si tratta di artisti che traggono delle deduzioni, delle conseguenze da posizioni già prese. La posizione che si propone come nuova è quella della transavanguardia e in questo non ha evidentemente dei concorrenti; cioè, il fatto nuovo è che non ci troviamo più di fronte a un contrasto o a una dialettica di correnti, ma di fronte a una corrente che, per il solo fatto di essere la sola, si presenta come egemone o tendente all'egemonia.

Altro punto che debbo constatare: la transavanguardia è il solo movimento artistico che informi su una condizione di coscienza diffusa nel mondo.

Come si presenta? Si presenta come rifiuto di ogni attività progettuale: l'arte non viene più considerata come il prodotto di un progetto e come il contributo a un progetto culturale per il futuro. Si presenta cioè nella sua pura e semplice condizione di esistenzialità qui, ora, ricusando sia una discendenza storica da posizioni precedenti, sia il proposito, qualsiasi proposito, per il futuro. Mancando la progettualità, manca un carattere inerente a tutta l'arte di cui noi abbiamo storicamente esperienza: il valore.

Ora è indubbio che in tutta la storia dell'arte, l'arte è data come valore, come valore alternativo rispetto al valore del denaro, cioè al prezzo; come valore che non viene consumato, che anzi, quanto più fruito, tanto più si accresce nel suo essere valore. Per cui indubbiamente il nostro mondo attribuisce alle opere della scultura greca, poniamo, un valore certamente superiore a quello che veniva loro attribuito nel momento in cui furono fatte. Dunque il valore è qualche cosa che impedisce il consumo, è un anticonsumo, è un soprawivere al di là del consumo materiale. Debbo dunque dedurne che un'arte che si ponga come antiprogettualità o non-progettualità è un'arte che per la prima volta nella storia - e questo è un fatto da discutere molto profondamente - si presenta come non-valore.

Io non credo che si possa dogmaticamente affermare che l'arte debba essere valore, anche se come storico dell'arte non conosco manifestazioni nell'ordine artistico che non mirino al valore. Evidentemente, non mirando al valore, non mirando al progresso, quest'arte è un'arte che si dà come interamente appartenente al proprio tempo; e qui voglio ricordare che per tutta l'arte moderna è stata posta, da Baudelaire in poi, l'esigenza dell'essere del proprio tempo. Con le avanguardie si afferma l'insoddisfazione di questa contemporaneità e la necessità di un superamento di una proiezione, di una progettualità verso il futuro. Ora, quest'arte, la transavanguardia, che si presenta come non-progettualità e non-controllo, come rifiuto di ogni controllo e di ogni inibizione, si pone come espressione di violenza.

A questo punto, credo indubbio che noi viviamo in una società in cui la violenza è uno degli elementi dominanti; dalla violenza purtroppo non si ritraggono né gli individui né gli stati: possiamo dunque pretendere che si ritragga l'arte? L'arte che si presenta come violenza, si presenta come non-valore, perché c'è antitesi: la violenza è consumo bruciante, esaustivo, quindi non è conservazione, quindi non è valore.

Non è questa, la transavanguardia, la prima manifestazione di arte come violenza, altre ne conosciamo. Ne conosciamo in questo secolo; indubbiamente l'espressionismo, indubbiamente il cosiddetto "espressionismo astratto americano".

A.B.O.: Secondo me il discorso di Argan parte da un'eccessiva specularità tra l'opera d'arte e il mondo in quanto nel momento in cui Argan sostiene che l'arte sia progetto pensa automaticamente che attraverso questo progetto si riprogetti il mondo.


In realtà esiste un progetto dolce, che è il progetto dell'opera; in quanto ogni artista, anche quando si esprime sotto l'impulso di una manualità che non accetta il compasso e la riga, tende sempre a strutturare il linguaggio in un ordine formale. Quindi esiste un progetto, ma è dolce nel senso che non rimanda, non prolunga la sua lunghezza d'onda all'esterno del suo percorso. In effetti, gli artisti della transavanguardia si muovono all'interno di quel nichilismo compiuto di cui Nietzsche ha parlato continuamente: il nichilista è colui il quale rotola dal centro verso la x, l'incognita.

Viviamo un presente storico estremamente drammatico da cui non riusciamo a prevedere l'uscita, uno sbocco positivo all'interno di un mondo contraddittorio, pieno di contrasti e dominato dalla violenza. I1 nichilismo attivo dell'artista della transavanguardia è proprio la felicità di questo rotolamento, di questo spostamento, di questo nomadismo che si preoccupa di realizzare questo movimento anche attraverso il piacere, quel piacere che era stato mortificato, mi pare, nei decenni scorsi, attraverso anche la privazione dell'oggetto, fino ad arrivare alla smaterializzazione dell'arte concettuale, fino ad arrivare a quell'arte degli anni sessanta che anch'essa lavorava sulla citazione e sulla tautologia.

Qual è stato il lavoro di assottigliamento sulla violenza che ha fatto la transavanguardia? Quello di ridurre lo spessore, la sostanza inconscia che c'era dietro la gestualità dell'action painting e dell'informale e riportarla nello stadio appiattito di un'immagine bidimensionale, così come bidimensionale è l'immagine dei mass media.

Direi che se debbo trovare un valore nell'arte della transavanguardia lo rintraccerei nel valore dell'eclettismo. La transavanguardia - che non è un movímento, è un'attitudine, un'apertura disinibita all'espressività - tenta di ricucire dei livelli della cultura che per decenni erano rimasti separati: il livello della cultura alta, oggetto della tradizione delle avanguardie storiche e delle neoavanguardie, e il livello della cultura bassa, prodotto dall'imagerie della civiltà di massa. Questi artisti intrecciano, sovrappongono, associano questi due livelli senza più quel purismo che impediva l'operazione nelle neoavanguardie e nei movimenti precedenti.

Può quindi darsi che questa richiesta che si fa alla transavanguardia di risolvere tutte le antinomie, di dare una risposta in termini rivoluzionari, sia una domanda che andrebbe fatta a tutte le neoavanguardie dal '45 in avanti.

Può darsi che le domande si stiano accavallando in questi ultimi anni in maniera così precipitosa - nel caso di Argan in maniera molto serena debbo dire, ma da parte di altri critici in maniera imperiosa, accidiosa, isterica - e credo sia dovuto proprio al grande successo internazionale della transavanguardia. Secondo me dopo il futurismo, la transavanguardia è la prima volta che propone un'immagine di cultura nazionale esportabile all'estero, che sia riuscita a superare le dogane, gli impedimenti, i diktat del mercato locale, a penetrare nei musei di tutto il mondo, ad aprirsi al collezionismo internazionale.

Per quanto riguarda il mercato, io mi chiedo: come hanno combattuto il mercato le avanguardie storiche e le neoavanguardie?

Tutto sommato, nella sua destinazione oggettuale l'arte d'avanguardia si è consegnata con la stessa neutralità al mercato ed è stata assorbita nella stessa maniera. È proprio perché non è possibile creare una specularità tra opere e mondo che il mondo assorbe lo stesso l'opera seppur progettata.

Quindi il progetto non immunizza l'arte. D'altra parte non solo il futurismo è incorso in una collusione con dei movimenti politici restaurativi come il fascismo; basterebbe pensare al paradosso di alcuni architetti razionalisti, che durante il fascismo erano fascisti ma hanno progettato degli edifici razionalisti, senza essere Piacentini, pensando di mettere a disposizione di un sistema assolutamente restaurativo come quello fascista un'arte come progetto e come razionalizzazione del reale.

giovedì 15 gennaio 2009

Constantin Brancusi (1876 - 1957)

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Secondo la maggior parte della critica d'arte e da collezione, Constantin Brancusi è il più grande artista rumeno mai, rinomato in tutto il mondo come un enigmatico, molto originale e profondamente personale scultore, le cui opere sono state presentate, ha commentato, attaccato adulated e, considerato lo opere di un genio, sempre ad alto premi a vincere le aste d'arte.
Brancusi, è nato il 19 febbraio 1876 nel piccolo villaggio di Hobita , Dove è cresciuta, in una famiglia modesta. Ha scoperto l'arte studiando da i suoi primi anni le opere di arte popolare tradizionale, e non è stata a lungo prima ha iniziato a fare la propria piccola incisioni e sculture in legno. Egli avrebbe eventualmente lasciare il suo paese, alimentato in su con i poveri e la dura vita, stabilendosi a 13, in Craiova , Dove ha lavorato in un piccolo negozio di alimentari, per alcuni anni. Nonostante ciò, ha mantenuto nella sua scultura sapre tempo, utilizzando entrambi i temi e motivi tradizionali, come pure quelli originali. Quando era 18, con l'aiuto del suo datore di lavoro, è riuscito a iscriversi a livello locale Scuola di Artigianato , Che egli avrebbe laureato, già abbastanza maturo e impressionante artista, nel 1898.
Volendo perfezionare la sua formazione, poi Brancusi iscritti alla Scuola di Belle Arti Bucarest , Dove ha studiato scultura e in breve tempo aveva dimostrato di essere non solo molto talento, ma anche molto duro lavoro. Solo alcune delle sue prime opere sono sopravvissuti, tra cui una suggestiva ecorche, un classico e un po 'macabro tema, trattato in un modo classico che è stato tanto a differenza della successiva Brancusi. A partire da 1903, Brancusi a sinistra per Monaco , Poi Parigi . L'esperienza parigina e l'influenza sempre cambiare lui, come egli è diventato un caro amico e membro della circoli d'avanguardia, ha lavorato nello studio di Antonín Mercie e anche incontrato e lavorato con Rodin. Eppure, nonostante il suo amore e l'ammirazione per Rodin, Brancusi era troppo di un artista ribelle e indipendente, per cui ha lasciato l'artista francese in soli due mesi.
È stato dopo questo cosiddetto scioglimento che ha iniziato a lavorare nella sua, unica e personale stile, cercando di catturare l'essenza stessa delle opere, ed i risultati sono stati sbalorditivi. Inoltre, ha iniziato a intaglio quasi esclusivamente, una tecnica difficile e faticoso, che ha sottolineato ulteriormente l'unicità dei suoi disegni. Brancusi produrrebbe una serie di importanti opere, alcune delle quali hanno diverse versioni: la preghiera, Sleeping Muse, The Kiss. Non è stato a lungo che è diventato popolare in Romania , Francia e il Stati Uniti d'America , E nel 1913 espone al Salon des Indépendants e l'Armory Show, la famosa fiera americana. Era vicino a Pablo Picasso, Guillaum Apollinaire, Marcel Duchamp, Henri Rousseau, solo per citarne alcuni, le sue opere sono state ambita dai collezionisti.
Con il 1920, il suo stile è stato già definito, ma era così unico e strano che a volte le sue opere sono state respinte dalla mostra o, almeno, ha causato un grande grado di polemiche. Egli non solo è stato uno scultore, ma anche un musicista, tuttofare, operaio, un ben leggere e curiosità persona, che ha voluto parlare di arte e scienza, al tempo stesso piacere di lavorare con le sue mani. Estremamente popolare in Stati Uniti , Dove avrebbe potuto tornare a più riprese, ha speso molto del suo tempo in Parigi , E nel 1933 ha anche ricevuto una strana commissione: il disegno di un tempio in India , Un progetto che, in definitiva, è sceso attraverso.
E 'stato nel 1938 che Constantin Brancusi finalmente finito la sua opera più importante, una prima guerra mondiale in monumentum Targu-Jiu, fatto di tabella del Silenzio, Porta del Bacio e Colonna Infinita, enigmatiche opere su larga scala, oggi famosa in tutto il mondo . E 'stato il culmine della sua carriera, per l'ultima parte della sua vita Brancusi di lavoro in una maniera molto più rilassata. Ha preferito il ritiro del suo atelier parigino, lontano dal suo paese, ed è diventato cittadino francese nel 1952. Nei suoi ultimi anni ha scoperto che la fotografia enthusiasticaly, e sulla sua morte, a 16 marzo 1957 , Ha lasciato dietro di circa 1200 fotografie e 215 sculture. Lo studio dell'artista e di tutti i lavori sono stati donati al Musée National d'Art Moderne di Parigi, uno di Brancusi l'ultimo desiderio.
Oggi, il suo unico e altamente pregevoli opere si trovano in alcuni dei migliori musei di tutto il mondo o in prestigiose collezioni private, come il prezzo di una scultura di Brancusi è salendo di giorno in giorno. E 'raro, per collezionisti d'arte di trovare uno di questi a aste e, quando lo fanno, i prezzi vanno semplicemente folle. Constantin Brancusi non è solo uno dei grandi maestri del 20 ° secolo, l'arte, ma anche un enigma. Come ha fatto la sua unica e creare in modo semplice, eppure così profondo stile? Quali sono state le influenze, i temi, gli artisti che hanno lasciato il segno su di lui? Che cosa ha voglia di esprimere attraverso le sue opere?
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

giovedì 8 gennaio 2009

MAGRITTE POETA DEI SOGNI

A CURA DI D. PICCHIOTTI

Il mistero della realtà nella lucida enigmatica visione dell’inconscio. Immagini per esplorare se stessi ed interrogare il mondo.
90 famose opere celebrano il talento surrealista di Magritte, ne “La chiave dei sogni”, la retrospettiva, ospitata dalla Fondazione Beyeler di Basilea dal 7 agosto al 27 novembre, in collaborazione con il Kunstforum di Vienna, la Fondation Magritte e il Louisiana Museum del Modern Art di Copenhagen. Con Magritte la razionalità si ritrae, la logica si ripiega su se stessa, la mente si offusca. Accostamenti dissociativi, composizioni assurde, situazioni in bilico tra l’onirico e la più fervida immaginazione, tutto, nella diafona recettività dell’artista che trasferisce nell’immagine il pensiero visibile. Oggetti quasi banali, sapientemente incastonati in scenografie al limite del concepibile, risvegliano ricordi assopiti nei più remoti angoli dell’inconscio e le visioni oniriche acquistano, così, tangibilità con simboli e segni che turbano e inquietano lo spettatore.
Una mostra la cui soluzione di continuità è cesellata nel mondo dei sogni, dove ogni opera è una scena aperta nella teatralità della mente.
L’inconscio ne sprigiona la bellezza onirica, fonte di mistero e la prontezza mentale ne carpisce il senso.
Sono opere, quindi, che non appagano per una bellezza classica ma che stimolano l’istinto nella ricerca della propria profondità. Un gioco di quinte e fondali nel teatro dell’esistenza, proprio come nell’opera “Il fantino perduto” - la sua prima opera surrealista, dove un sipario teatrale incornicia il fantino a cavallo nella sua statica corsa, tra una foresta di pseudo-birilli rivestiti di spartiti musicali, trasformati in alberi.
Nel ristretto territorio della sopravvivenza d’immagini, il sentimento estetico del sapere, filtra la mente e ne riversa l’evanescenza nel pensiero visibile, l’unico possibile, l’unico concepibile, l’unico presente in mostra, per un viaggio a ritroso nella profondità oscura di un io, soggetto e oggetto nel puzzle dell’inconscio.
“La chiave dei sogni”, dal 7 agosto al 27 novembre 2005
Fondazione Beyeler, Baselstrasse 101. Basilea.
Orari: tutti i giorni dalle 10-18, mercoledì fino alle 20.
Ingresso: intero 21 chf, ridotto 18 chf, gratis fino a 10 ann.
Informazioni: (0)61 - 645 97 00.
Sito web: www.beyeler.com
MAGRITTE, SOGNI E RICORDI
Nulla è più lontano dalla realtà quanto una reale visione dell’anima allo specchio. Nulla è più lontano dall’irrazionale quanto l’inconscio razionale di Magritte. Percezione sensoriale, frantumazione dello spazio, dilatazione del tempo. Al di là della mente, nell’estrapolazione arcaica di segni che rimandano al sensibile, tutto a un senso. Surrealistica introspezione dell’io nella conflagrazione di arte, filosofia e psicoanalisi. Il corpo, tempio dell’essere acquista valenza simbolica e l’astrazione dell’anima prende forma.
Renè Francois Magritte nasce nel 1898 a Lesines, in Belgio, monarchia indipendente dal 1831.
Non amava le biografie, la vita di un’artista, secondo Magritte, sta nelle proprie opere che la devono smentire. Una vita imperniata sui ricordi è presagio di una esistenza persa è l’immagine del passato in una proustiana ricerca del tempo perduto. Il pensiero froidiano, riconosce la presenza dei ricordi nel lavoro della memoria e in Magritte l’affermazione dello psicoanalista J.-B. Pontalis assume il suo pieno significato:
Non abbiamo ricordi d'infanzia, ma solo ricordi sulla nostra infanzia. Essi non emergono dal passato remoto ma si formano in tarda età. La nostra memoria è una finzione retroattiva, retroattivamente anticipatrice, che appartiene a pieno titolo al regno della Phantasia".
Il ricordo vive nell’inconscio, Freud ne percorre i labirinti, ne scandaglia il territorio, mettendo a nudo paure, ansie e desideri. Intime rivelazioni emergono dalla profondità dell’animo umano in riflessi di un vissuto inesplorato, enigmatico e visionario. Nell’inconscio, l’illogico incontra il ricordo e ne scaturisce l’iconografia sequenziale d’istanti cristallizzati nella nostra memoria emotiva. Appare, allora chiaro , come il tema costante della pittura di Magritte, si risolva in un segmento di ricordo legato alla morte della madre. Nel 1912 infatti, la madre viene trovata annegata nel fiume Sambre, con la testa avvolta da una camicia da notte. Il ricordo della camicia da notte che copre il volto, ritorna come un leit motiv in moltissimi lavori di Magritte. (L'historie centrale e i volti degli Amanti del 1928)
DALL’ACCADEMIA AL SURREALISMO PASSANDO PER LA METAFISICA
Nel 1916 s’iscrive e frequenta l’Accademia di Belle Arti, conosce poeti e letterati dell’avanguardia di Bruxelles come Pierre Bourgeois e Pierre Louis Floquet, dipinge quadri di ascendenza cubista e futurista. Il suo è un percorso di ricerca, d’introspezione, di conoscenza di se stessi. Un’indagine a più voci dove ogni singola sfumatura, ogni timbro vocale viene modellato in un’orchestrazioneraffinata e velata di mistero. Ma è la conoscenza di De Chirico e in particolare del suo quadro metafisico, Canto d’amore, di cui il poeta Marcel Lecomte gli mostra la riproduzione, a imprimere nella sua poetica una svolta fondamentale, tanto da ricordare, molti anni dopo: "Nel 1910 De Chirico gioca con la bellezza, immagina e realizza ciò che vuole: dipinge il Canto d’amore, in cui si vedono riuniti un guanto da boxe e il viso di una statua antica. Dipinge Malinconia in un paesaggio con alte ciminiere di fabbriche e muri infiniti. Questa poesia trionfante ha sostituito l’effetto stereotipato della pittura tradizionale. È una completa rottura con le abitudini mentali proprie degli artisti prigionieri del talento, del virtuosismo e di tutte le piccole specialità estetiche. È una nuova visione nella quale lo spettatore ritrova il suo isolamento e intende il silenzio del mondo".
Il linguaggio metafisico, la pittura metafisica, l’universo metafisico, avvolge e affascina Magritte.
Atmosfere indefinite nella sospensione dei suoi temi, echeggiano tra l’apparenza e la realtà. Immagini che sono mistero, trame impossibili, contenuti indecifrabili, illogici accordi sequenziali, provocano inquietudine, sgomento, timore verso l’ignoto. Soggetto e oggetti, in apparenza senza nessuna relazione fra loro, sembrano vagare nello spazio, emergere dallo sfondo e soffermarsi sulla soglia per indicare vie sconosciute. Costruzioni e decostruzioni, architetture della mente, piani estremi dove le piazze, gli spazi aperti e gli orizzonti alla De Chirico, s’innescano con le presenze metafisiche dei luoghi dello spirito. Contrasti, proporzioni e sproporzioni, pieni, vuoti, zone d’ombra e masse dense che, se da un lato creano incoerenza visiva, dall’altra generano atmosfera nello spettatore. Un'eterofonia di sfumature, di suoni e richiami verso il surrealismo.
Il Surrealismo nacque nel 1924, teorico del gruppo fu soprattutto lo scrittore André Breton che ne redisse anche il Manifesto. Secondo Breton, il sogno rappresenta gran parte dell’attività del pensiero umano. Solo conciliando i due momenti, quello della veglia e quello del sogno possiamo giungere ad una realtà superiore (appunto una surrealtà).
Una considerazione che porta Breton a definire così il Surrealismo:
"Automatismo psichico puro col quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto, sia in qualsiasi altro modo, il funzionamento reale del pensiero. Dettato dal pensiero, in assenza di qualsiasi controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale."
Molti furono gli artisti che aderirono o che si avvicinarono al surreliasmo, Ernst, Mirò, Dalì, Savinio, De Chirico, tutti riuniti nella Scacchiera surrealista di Breton
Le caselle di una normale scacchiera da gioco, sostituite con le fototessere degli amici surrealisti. Nata nel 1934 da un’idea di Man Ray, la scacchiera mette insieme, chi surrealista lo è stato da subito, chi fu espulso dopo il primo anno, come Dalì e chi non ha mai aderito formalmente, come Giorgio De Chirico. Nessun gioco può rappresentare il surrealismo come gli scacchi, la partita tra Duchamp e Man Ray, in una terrazza, nel film surrealista, Entr'acte, di René Clair, ne è la sintesi perfetta. Lo stesso Magritte era appassionato di scacchi tanto da dedicare molti quadri all'argomento, Le jockey perdu, del 1926 (uno dei suoi primi quadri surrealisti) e Scacco Matto, del 1937.
IL SENSO E IL NON SENSO
Nel senso di esistere è imperniata la condizione umana, trovare un senso logico, concreto, corrispondente al vero, al trascendente è bisogno primario dell’uomo. La continua ricerca di un equilibrio tra il sé e l’esternazione del sé, si configura in una parabola tra etica e utopia, come quintessenza del pensiero per scorrere tra la linfa del mondo. Ma dietro l’apparente tranquillità delle cose c’è il sogno, il presagio, lo spirito, il surrealismo e lo spostamento del senso.
Il surrealismo non nega la realtà, la trasfigura, questo disorienta, sconcerta, inquieta, induce al mistero, all’enigma più dell’astrattismo. Fondamentalmente i principi basilari sono due: gli accostamenti inconsueti e le deformazioni irreali. I primi, spiegati da Max Ernst come “accoppiamento di due realtà in apparenza inconciliabili su un piano che in apparenza non è conveniente per esse".
Per libera associazione di idee si uniscono oggetti e spazi che non hanno niente in comune, distanti fra loro e appartenenti a contesti diversi. Ne risulta una visione di bellezza inedita, assurda, al limite del concepibile quasi, a voler frantumare le nostre certezze. Le seconde nascono dalla metamorfosi. Corpi, oggetti, forme rivelano la nature delle cose nella loro trasformazione in qualcos’altro. Caducità di uno stato transitorio che suggestiona la mente, suscita sensazioni sospese tra l’apparenza della realtà e il suo profondo, e induce a riflettere sul divenire comprensibile e l’onirico, il mistero, l’impenetrabile. La trasformazione della foglie in uccelli ne Le grazie naturali, 1963, di Magritte, è dialogo allo stato puro, dove nessun parametro logico viene rispettato, la visione supera la realtà, si stacca dalla sua crosta e vive libera da vincoli e da limiti.
Magritte è surrealista, estremamente surrealista tanto da risultare scomodo al surrealismo. Sia perché il suo ostinato isolamento belga lo tiene lontano dal fermento parigino, sia perché la visione, acquista sempre più spessore, valenza autonoma e importanza fondamentale, superiore e al di là della realtà.
Un percorso solitario all’interno di un movimento eterogeneo, che provoca nel 1929 la rottura con l’amiciza di Breton, quando decise di tornare in Belgio, ma già nel 1934 è il quadro di Magritte Le viol a fare da copertina al libro di Breton, Qu'est-ce que lesurréalisme?
” Le IL PENSIERO VISIBILE
Importante nella mia pittura è ciò che essa mostra." Questa semplice affermazione riassume le evidenti diversità che contraddistinguevano la sua opera da quella degli altri esponenti del surrealismo. L’opera ha vita propria, svelarne l’invisibilità equivale a coglierne il senso. Per Magritte il mondo delle idee vive nelle visioni e il suo stile pittorico, riporta nelle immagini, la naturalità della magia, del pensiero, dell’invisibile, eludendo ogni artificio, dalla teatralità della metafora e della metamorfosi di Dalì, alla prolificazione dei fantasmi desertici di Tanguy. Come il soffio del vento solleva il pulviscolo, la pittura solleva il sapere. Quindi non più gesto pittorico inteso esclusivamente come abilità tecnica, ma trasmissione del pensiero attraverso un piano estetico. Il pittore, oltre a saper pensare deve far pensare. Ne risulta un’immagine strettamente collegata al pensiero, un’immagine che è pensiero. La sensibilità all’interno della materia, le cose fisiche divengono, quindi, il tramite dell’invisibile e di conseguenza il pensiero divine visibile grazie al pittore. Nel pensiero visibile gli oggetti sono denudati dal nostro significato intrasoggettivo e si scopre la magia, intesa come volere, potere, entrare in tutte le forme, in tutte le identità senza dimorare in nessuna, dal termine "mogen". L’universo si schiude sotto i nostri occhi è l’impossibile, l’inspiegabile, l’assurdo, l’ipotetica visione onirica appare con la più disarmante naturalità nel mistero del surreale. Davanti a opere come La grande famiglia, allora è logico chiedersi: sono le nuvole a farsi colomba o viceversa? Ma per un’altra grande opera La firma in bianco è lo stesso Magritte a risponderci: "Le cose visibili possono essere invisibili. Se qualcuno va a cavallo nel bosco, prima lo si vede, poi no, ma si sa che c'è, nella Firma in bianco, la cavallerizza nasconde gli alberi e gli alberi la nascondono a loro volta: Tuttavia il nostro pensiero comprende tutte e due, il visibile e l'invisibile. E io utilizzo la pittura per rendere il pensiero visibile."
Il pensiero visibile in immagini attraverso le quali l’artista intravede il possibile, il tangibile, il non senso. Composizioni che rimandano oltre l’apparenza delle cose e racchiudono, nella loro solenne integrità surreale, le poetiche sfumature del mistero e del canto del cigno come ultimo avamposto della mente. Ma anche la magia, l’appartenenza alla non forma, evocatrice di atemporalità e di spazialità sovrapposte. Incredibili visioni, traslate da ragionamenti filosofici, che semplificano il senso e trascinano la realtà esterna dentro il pensiero visibile. Lo spostamento del senso avanza e l’opera Golconde diviene esistenza surreale sospesa nell’infinito. In un ipotetico non luogo della mente, avanzano solidi palazzi dall’architettura belga, la realtà è più vicina di quanto si pensi ma si frantuma all’orizzonte quando, la trasmigrazione del reale tocca le vette del pensiero visibile e il mistero sfugge a ogni regola e a ogni certezza cognitiva.
Fedele alla sua natura enigmatica induce a riflessioni sulla profondità interiore celata dietro le inquietudini dell’ignoto, i turbamenti del ricordo e le sensazioni del sogno. Il pensiero tesse la sua tela su una superficie dove il vero e il reale hanno lo stesso spessore delle cose della realtà. Su questo bordline l’artista intreccia i tasselli di vari stimoli creativi scolpendo nella più fluida e nitida poetica dell’inconscio figure svuotato di anima e di spirito fermate in un tempo indefinito. Appaiano così gli omini in soprabito e bombetta rivolti tutti verso lo spettatore. Giochi d’ombre improbabili, di uomini che avanzano come la pioggia nella sua nella perenne stabilità di movimento, tutto nella sospensione assoluta di uno spazio metafisico per una visione surreale al limite dell’astrazione.
ARTE E FILOSOFIA
Arte e filosofia , significati nascosti, giochi di rimandi, dissonanze di pensiero, trasparenza del percepibile, scivolamento nella consapevolezza, limiti sfiorati dall’esistenza, visibile e invisibile. Magritte è strettamente legato alla filosofia e in particolare a Nietzsche, le sue opere sono idee che prendono forma e trasmigrazione di forme in sensazioni. Sorpresa, turbamento, antitesi, paradosso e il non senso, rivoluzionano gli schemi mentali e il pensiero rimane sospeso nell’intelligenza del dubbio. Nietzsche è il filosofo che più di tutti influenza Magritte. Entrambi utilizzano lo smascheramento del reale e la metafora per la rappresentazione del pensiero. La conoscenza, quindi, appare come fonte di luce e di chiarezza per un universo in perenne ricerca della verità e prigioniero delle proprie convinzioni. Sintesi di alcuni passi di “ Zarathustra “ o della “ Gaia Scienza “ in visioni sovrapposte non combacianti, immagini che generano perplessità, ma sfiorano le corde dell’anima e traducono il suo suono nella trasmigrazione sensoriale del pensiero in forma. L’arte figurativa ha, cosi dato un’epidermide al senso o al …………... non senso.
Non tutti i pensieri giungono a completo compimento, ma ogni loro frammento è cellula germinale allo stato puro, è concentrazione di energia cosmica e bozzolo luminoso. La fluidità incorporea della poesia c’e ne fa assaporare la gioia stimolando il desiderio d’afferrare il sublime nella sua inafferrabilità. La gioia del non senso è sospesa nell’arbitrarietà degli eventi, come vitalità repressa emerge quando la situazione si capovolge, quando l’utile diviene inutile e la costrizione si allenta senza recar danno alcuno. Solo allora siamo capaci di gioire e di sentire il soffio libero del riso e della felicità camuffata da spavalderia. È la gioia portata all’estremo come la gioia degli schiavi nelle loro feste saturnali.
Nel La lampada filosofica del 1936, pochi elementi evidenziano la relazione che intercorre tra filosofia, pensiero, conoscenza. Una candela serpentina ( la conoscenza) e una testa che fuma se stessa ( il pensiero filosofico concentrato su se stesso) sono la rappresentazione ironica del sapere intesa come salvezza come illuminazione spirituale.
“La lampada filosofica” - 1936
MAGRITTE
NEL LINGUAGGIO DI SAUSSURE E FOUCAULT
Magritte, Saussure, Foucault e il linguaggio della filosofia per un percorso semiotico nella filosofia del linguaggio. Il quadro Ceci n’est pas une pipe del 1948 è un sunto molto esemplificativo del trattato di Saussure “ Corso di linguistica generale “.Rivela, in una visione molto chiara, la frattura tra il mondo dei segni e il mondo della realtà. Ciò avvalora la tesi dell’arbitrarietà dei segni, vale a dire, significato e significante hanno un rapporto del tutto soggettivo, la relazione quindi, che intercorre tra il segno e la sua rappresentazione, non solo frantuma la consapevolezza, più o meno, intrinseca in ognuno di noi, della scissione tra il linguaggio e la realtà, ma diviene la negazione di se stessa. Le parole inserite nell’opera, provocano, infatti, una rottura strutturale introducendoci nel mondo del mistero e dei sogni, dove immagini e realtà, leggere e guardare, non coincidono ma scivolano su sponde diverse e le situazioni più banali, così, si trasformano nelle più sconvolgenti La chiave dei sogni è il paradigma dell’associazione inaspettata, dove l’incoerenza crea uno stato dissociativo nelle nostre abitudini mentali, e ci invita a riflettere su quanto i codici , i segni e la loro arbitrarietà influenzano il nostro modo di vedere e di percepire la realtà.
Magritte ha descritto così questo quadro: "ho rappresentato due idee diverse, vale adire un paesaggio notturno e un cielo come lo vediamo di giorno. Trovo che questa contemporaneità di giorno e notte abbia la forza di sorprendere. Chiamo questa forza poesia."
Foucault il filosofo con cui Magritte intrattenne più rapporti, anche tramite corrispondenza, scrisse un saggio intitolato proprio Ceci n'est pas une pipe, in cui analizza i quadri dell’artista. Foucault, considera quest’opera un calligramma, in cui però, Magritte, ne provoca la frattura interna. Nel calligramma la cosa di cui si parla e la disposizione dei segni che ne formano il testo combaciano perfettamente, quindi leggere e guardare coincidono. Ma in questo caso fra le due attività si sviluppa un potenziale conflitto, la lettura smentisce la cosa guardata. I due parametri , leggere e guardare, adesso vivono in autonomia e la negazione del rapporto biunivoco si rispecchia anche nella realtà.
Molto interessante è il carteggio tra Foucault e Magritte, quasi una corrispondenza precisa tra le ricerche dei due pensatori. Sotto esame parole come somiglianza, similitudine, contesto e il mondo
reale, perché dove tutto è apparenza e la somiglianza si confonde, in un gioco di riflessi e di opposti, con la similitudine, il pensiero visibile e l’invisibile si alternano in immagini che disorientano la mente ed evocano il mistero e il contesto sfugge all’immaginario tangibile.
Così Magritte su Le mots et le choses di Foucault, nella lettera del 23 Maggio 1966:
“ Le parole Somiglianza e Similitudine le consentono di suggerire con forza la presenza, assolutamente estranea, del mondo e di noi stessi: io credo nondimeno che queste due parole non siano abbastanza differenziate e che i dizionari non siano abbastanza costruttivi circa ciò che li distingue.(...) Le "cose" non hanno far loro somiglianza, ma hanno o non hanno similitudine. Solo il pensiero può essere somigliante.(...). Il pensiero è invisibile, come il piacere o il dolore. ma la pittura fa intervenire una difficoltà: c'è il pensiero che vede e può essere descritto visibilmente.(...)L'invisibile sarebbe dunque talvolta visibile?Sì, a condizione dhe il pensiero sia costituito esclusivamente da figure visibili. in proposito è evidente che un'immagine dipinta, che è per sua natura intangibile, non nasconde niente , mentre il visibile tangibile nasconde immancabilmente un altro visibile, se vogliamo credere alla nostra esperienza. Ciò che non manca d'importanza è il mistero evocato di fatto dal visibile e dall'invisibile, e che può essere evocato di diritto dal pensiero che unisce le "cose" nell'ordine che evoca il mistero."
Nella stessa lettera Magritte allega, per avvalorare quanto scritto, le riproduzioni del quadro Perspective: Le balcon de Manet, che è una variante de Perspective: Madame Récamier de David. In cui le figure umane sono sostituite da bare. Alle richieste di spiegazione da parte di Foucault, Magritte risponde così, nella lettera del 4 giugno 1966:
"Ciò che mi ha fatto vedere delle bare là dove Manet vedeva delle figure bianche è l'immagine presentata nel mio quadro, dove la decorazione del "balcone" era adatta a situarvi delle bare.(...) Credo che si debba notare che questi quadri intitolati Perspective rivelano un senso che i due significati della prospettiva non hanno. Questa parola e le altre hanno un senso preciso in un contesto, ma il contesto, come lei dimostra meglio di qualunque altro ne Les mots et le choses, può dire che nulla è confuso, tranne la mente che immagina un mondo immaginario."
L’esistenza svanisce nelle certezze, la consapevolezza consacra la conoscenza come salvezza universale, i pensieri sono reminiscenze di un sapere che ci conduce nell’ordine armonico delle cose. In una fredda e razionale architettura mentale la voce silenziosa dell’inconscio provoca crepe, fratture, sgretola solide quanto effimere costruzioni del vero e del reale. Il senso del non essere appare come fantasma dell’esistenza e l’inquietudine lascia la sua traccia nell’invisibile grafica dei segni dell’anima. Magritte ne afferra il pulviscolo sonoro e lo traduce nel riflesso della dissoluzione quotidiana nella misteriosa visione di se stessa.
Il vissuto presente si ferma sulla tela in un eco dell’inconscio che appare con il suo linguaggio carico di simboli. Il gioco prosegue in immagini come corrispondenze con un futuro già visibile nella luce di un sapere che dispiega le ali verso il senso delle cose nell’enigmatica limpidezza della realtà. Una realtà come senso del presagio, è l’opera Chiaroveggenza, 1936 Magritte rappresenta non solo se stesso nell’atto di dipingere ma anche il processo spirituale intrinseco all’arte: un processo di trasformazione oltre il vincolante e l’apparente staticità delle cose. L'uovo è il soggetto, ma l’opera dell'artista fa sì che sulla tela sia già un uccello.
Magritte sopravvive a se stesso, vive nella sua arte e l’arte vive di quella lucida visione onirica, di quella poetica forza misteriosa, di quella estetica percezione sensoriale che traccia la sua traiettoria tra le correnti artistiche successive, come la pop art e l’arte concettuale. Da qui, si svilupperanno, negli anni sessanta e settanta, tutti i parametri che Magritte ha svelato, con la sua genialità enigmatica e sensitiva. L’arte concettuale abbandonerà poi, la pittura, la pop art assumerà la poetica di Warhol, Rauschenberg e Oldenburg, ma hanno entrambi un comune denominatore: l’oggetto attraverso un piano estetico che lo denuda dalla funzionalità. Gli oggetti, quindi, regnano incontrastati e la presenza dell’uomo appare solo attraverso la sua forma temporale. Uno sguardo sull’arte per carpirne il senso e dar vita a un pensiero visibile, terza dimensione dell’esistenza. Una dimensione nascosta che Magritte riporta in superficie anche attraverso Fantomas, l’incarnazione del mistero, del doppio, della contraddizione e della trasgressione. Un personaggio in grado di ricomporre, secondo una propria logica intuitiva, i frammenti di un mondo perso, svuotato e intrappolato nelle sue regole e nei suoi significati. Per Magritte, Fantomas è l’eroe, è colui che crea la storia e ne tesse la trama con accordi perfettamente incatenati nel sottile gioco del lirismo enigmatico. Magritte ne ha ricomposto l’essenza in opere cariche di quella irrealtà siderea, che accompagna il silenzio e da dove traspare l’indifferenza di quel sapere non sapere sospeso nei sogni.
Nel dominio dell’avanguardie Magritte è l’artista della profonda visione dell’essere , è colui che ha posto di fronte all’opera l’intelligenza che gli assicura la visibilità del pensiero, è l’onirico nella configurazione libera del sapere.

mercoledì 7 gennaio 2009

La scoperta dell’inconscio.Liberamente tratto da “ Introduzione all’inconscio”, Gustav Jung

A CURA DI D. PICCHIOTTI

All’inizio del XX secolo, sulla base delle ricerche sui sogni condotte da Sigmund Freud, la conoscenza dell’individuo subisce una sorta di rivoluzione, con la scoperta dell’inconscio, cioè di una parte della psiche esistente al di là della coscienza.
Tale consapevolezza peraltro non è stata un’invenzione moderna: nelle società primitive si credeva che l’uomo avesse due anime, delle quali una poteva essere indicata come spirito della foresta o incarnata in un animale o in un albero; l’anima non costituiva quindi un’unità assoluta.
Anche l’uomo moderno può scorgere l’esistenza di due parti nell’anima, qualora sia posseduto o alterato dagli stati d’animo diventando irragionevole e questa parte non è conoscibile mediante il pensiero razionale, che comporta molti limiti.
L’uomo infatti non percepisce o comprende mai nulla completamente, limitato dalle possibilità dei suoi sensi che gli permettono una percezione limitata, appena ampliata dagli strumenti scientifici. Ad un certo punto l’uomo raggiunge un limite di certezza, al di là del quale la sua conoscenza non può procedere.
Per esprimere le innumerevoli cose che oltrepassano l’orizzonte della comprensione umana vengono utilizzati i simboli, immagini, parole o nomi che hanno un significato altro, nascosto, rispetto a quello immediato.
Anche in quello che riusciamo a percepire vi sono aspetti inconsci, perché gli aspetti della realtà sono tradotti dalla realtà alla mente e diventano eventi psichici, la cui sostanziale natura è inconoscibile perché la psiche non può conoscere la propria sostanza. In questo modo ogni esperienza della realtà contiene una serie di aspetti inconoscibili.
Ci sono pertanto degli eventi psichici che non abbiamo registrato consapevolmente perché sono rimasti al di sotto della soglia della coscienza. Ne possiamo prendere coscienza solo in un momento di intuizione oppure sotto forma di sogno, dove l’aspetto inconscio di ogni evento si rivela, non come pensiero razionale ma sotto forma di immagine simbolica.
E come se ogni individuo avesse due personalità all’interno: la loro dissociazione provoca una tragedia per l’uomo ed è molto frequente.
Il primo ad indagare l’argomento dei sogni come strumento per indagare l’inconscio è stato Sigmund Freud, basandosi sul principio che i sogni non erano eventi casuali ma fatti associati ai pensieri e ai problemi della coscienza. I simboli nevrotici erano per Freud un modo nel quale la mente inconscia riusciva ad esprimersi come può avvenire nei sogni.
Secondo Freud, ricorrendo alla tecnica della libera associazione, i sogni possono essere ricondotti a certi modelli fondamentali. L’idea di base era che lasciando libero il paziente di proseguire il racconto con le immagini apparse inconsciamente poteva rivelare la radice inconsapevole dei suoi disturbi.
Jung modifica questo pensiero sostenendo che i sogni potevano allora fornire indicazioni più specifiche analizzandone forma e contenuto, concentrandosi sul sogno piuttosto che sulle sue libere associazioni.
L’esistenza dell’inconscio può essere intuita anche sulla base di altri elementi: quando dei pensieri coscienti smettono di esserlo è come se non esistessero più mentre, in realtà, vanno nell’inconscio e possono riapparire in seguito. A volte ci dimentichiamo di una cosa e poi il nostro inconscio ce la suggerisce; alcune idee possono perdere di energia perché l’attenzione della coscienza si sposta su altro, ed è inevitabile perché la coscienza può mantenere in luce solo poche immagini contemporaneamente.
In altri casi, noi sperimentiamo delle cose senza prestar loro attenzione immediata, ma esse vengono registrate dall’inconscio e possono influenzare il nostro modo di reagire: a volte un’immagine o un profumo può richiamare cose non coscienti, ricordi o esperienze depositate a livello inconscio.
Altre esperienze sono rimosse involontariamente inconsciamente perché spiacevoli o incompatibili. Tutto questo materiale inconscio è la materia da cui si originano i sogni espressi sotto forma di simboli: tutti gli stimoli, percezioni, intuizioni, pensieri razionali o irrazionali, conclusioni, induzioni, deduzioni che possono diventare inconsci parzialmente o totalmente sono il materiale possibile dei sogni.
È necessario che una parte del materiale diventi inconscio perché manca spazio nella mente conscia, così contenuti consci possono svanire nell’inconscio e contenuti ignoti possono emergere da esso, sembrando completamente nuovi, producendo pensieri completamente nuovi. Questa produzione nuova nella psiche è particolarmente evidente nel simbolismo dei sogni.

venerdì 2 gennaio 2009

Storia e origini del flamenco

A CURA DI D. PICCHIOTTI


La musica e’ un veicolo culturale molto piu’ antico della scrittura in quanto nasce probabilmente insieme alla parola o forse anche prima, e piu’ universale, perche’ puo anche prescindere dalla parola stessa. Gli attuali nomadi Rom, come gli antichi aedi greci, tramandano la loro cultura attraverso leggende cantate con l’accompagnamento di semplici strumenti. La musica (o almeno quella “etnica”) contiene le radici di un popolo e permette di capirne la cultura e la storia.
A causa della sua particolare origine, il flamenco e’ probabilmente il genere musicale emblematico di questa funzione di veicolo e memoria della cultura e della tradizione. Infatti e’ la musica del popolo nomade dei gitani che durante le loro migrazioni hanno attraversato tutto il medio oriente e il mediterraneo, lasciando tracce ma anche arricchendo la propria cultura e conferendo alla loro musica un carattere di universalita’ comune a pochi altri generi.
La Storia dei Gitani
(fonte flamenco-world)
Il luogo d’origine del popolo Gitano e` ritenuto una regione situata nell’attuale Pakistan, chiamata Sid, da cui vennero esiliati in seguito a una serie di conflitti e invasioni, ultima delle quali probabilmente quella di Tamerian, discendente di Gengis Khan. Da qui comincio` una lunga storia di nomadismo, che li vide passare in Egitto, in Cechia e in Slovacchia e infine, durante il XVsecolo, formare tre gruppi piu` o meno stabili nei Balcani-Italia, in Francia e in Spagna, dove sono diventati stanziali.
La loro cultura rifugge l’uso della scrittura e viene tramandata oralmente. Il nome originario dei Gitani e` Ruma Calk (da cui Rom), che nella loro lingua d’origine (il Calo’, derivata dal dialetto indiano Maharata) significa “camminatori della pianura”. Durante i secoli di migrazioni fino alla fine dell’800 hanno vissuto di pastorizia e artigianato.
L’Andalusia, regione con una secolare tradizione culturale e scientifica improntata alla multietnicita`, tra tutti e` il luogo dove la tradizione Gitana ha trovato le condizioni piu`adatte per la propria integrazione. Qui i gitani adattarono maggiormente la loro cultura all’ambiente ospitante, latinizzando i loro nomi, mescolando la loro lingua con il Castigliano e integrandosi nella societa’, tramite un processo durato parecchi secoli.
Il processo di integrazione non fu indolore. Durante i secoli XV-XVII i Gitani subirono insieme agli Arabi e agli Ebrei, le feroci persecuzioni cattoliche. Fu proibito loro di parlare la loro lingua e furono obbligati ad essere stanziali. Molti si rifugiarono sulle montagne per sfuggire alle conversioni religiose forzate.
In questa fase storica la cultura musicale gitana si mescolo’ con quelle araba ed ebraica. La musica divenne una sorta di veicolo per una ribellione nascosta. I cantori flamenchi venivano (furtivamente) invitati alle corti degli aristocratici come “giullari” e denuciavano le oppressioni nei loro testi in lingua Calo’ ai loro stessi oppressori, ignari. E` questo forse il periodo in cui la musica flamenca viene maggiormente caratterizzata dalla tipica malinconia e fierezza che la contraddistiguono.
In seguito i gitani si concentrarono in alcune principali citta` e quartieri: Alcala`, Utrera, Jerez, il quartiere Triana a Siviglia. Con il tempo le leggi furono meno repressive e sempre piu` spesso i loro “servizi musicali” vennero richiesti. L’interesse per la musica flamenca si diffuse anche tra i Payos (non-Gitani), e tra i musicisti “classici” che ne trassero ispirazione.
Il termine flamenco deriva dall’unione delle parole arabe “felag“(contadino) e “mengu” (errante, fuggitivo), e entro’ nell’uso linguistico come sinonimo di Gitano nel secolo XVIII.
La Storia della musica Flamenca
(fonte EL FLAMENCO )
Sui meccanismi che, dall’arrivo dei Gitani in spagna al secolo XVIII, produssero la fusione delle tre tendenze germinali (la Gitana, l’Araba e l’Ebraica) nell’embrione del genere flamenco, molto si e’ detto ma poco si sa. Le varie tendenze musico-filologiche attribuiscono di volta in volta (a seconda dei gusti) a ciascuna delle tre culture la predominanza sulle altre. Quello che e’ certo e’ che in questi secoli, musiche rituali sacre e canti lirici profani, tecniche corali e ritmiche diverse, si sono mirabilmente fuse in un genere unico, fortemente espressivo, incredibilmente ricco di contenuti, esemplificato dal Cante Jondo (canto profondo, che viene dall’anima).
Uno dei primi documenti scritti sul flamenco si trova in una delle Cartas Marruecas di Cadalso (1774), dove la musica flamenca viene esplicitamente attribuita ai gitani. La prima trascrizione di una partitura di musica flamenca si trova nell’opera “La maschera fortunata” (Neri, XVIII secolo).
Tra il 1765 e il 1860 si sviluppano tre “focolai” di evoluzione della musica flamenca, che crearono in seguito tre distinte scuole stilistiche: Cadice, Jerez de la Frontera, e il quartiere di Triana a Siviglia. Il flamenco, liberato dall’aura persecutoria religiosa, esce allo scoperto e si espande. In questo periodo il cante e il baile sono i soli elementi del flamenco, che vengono accompagnati dai toque de palmas senza l’aggiunta di altri strumenti musicali. Questo tipo di flamenco si chiamava a palo seco.
L’epoca tra il 1860 e 1910 e’ detta l’eta’ d’oro del flamenco. Esso viene interpretato nei “Cafe’”, conosciuto e amato dal pubblico spagnolo. Il baile acquista tutti gli elementi stilistici attuali e il cante conosce quella che e’ considerata l’epoca del classicismo, in cui prevale il cante jondo, il canto malinconico della tradizione flamenca. Tra gli strumenti musicali viene introdotta la guitarra.
Tra il 1910 e il 1955 il cante subisce influenze dal son sudamericano, (in concomitanza con le emigrazioni-immigrazioni nell’america latina). Le parti piu’ leggere della musica flamenca (il fandango) subiscono le influenze maggiori e nasce l’opera flamenca, una forma di rappresentazione teatrale “leggera”. A partire dal 1915 si produce un ciclo di rappresentazioni di danza teatrale che eleva il flamenco agli onori della gloria mondiale.
Contemporaneamente nascono come reazione dei movimenti puristi, tendenti a conservare il cante jondo classico. Falla e altri artisti creano a Granada un concorso per conservare questa parte tradizionale della musica flamenca.
A partire dal 1955 sorge il “rinascimento flamenco” un movimento capeggiato da Antonio Mairena, con lo scopo di diffondere l’ortodossia del cante flamenco. In questo periodo sorgono i tablaos ovvero locali (eredi dei precedenti cafe’) in cui sono presenti delle pedane di legno su cui gli artisti, o anche la gente comune, puo’ esibirsi, accompagnata dal chitarrista e dal cante.
Il baile dagli anni ‘50 ad oggi ha subito alcune modifiche. Inizialmente era una prerogativa femminile, mentre successivamente, a partire dagli anni ‘60, grandi figure maschili di ballerini si sono imposte (Antonio el bailarin o Rafael de Cordoba, negli anni 60, Joaquin Cortes e Antonio Marques ai nostri giorni).
Le tendenze stilistiche hanno visto nell’arco degli anni, spostare l’attenzione quando sulla parte superiore del corpo, (testa, braccia, polsi, nacchere, o castañuelas) specialmente nel flamenco femminile, quando sulle gambe e sui piedi. Molte esibizioni maschili si basano principalmente su giochi virtuosistici di zapateado y taconeos.
La guitarra, assente nel flamenco dei primordi, e’ diventata di recente uno strumento anche solista, oltre che accompagnatore. Paco de Lucia ha rivoluzionato la tecnica della chitarra flamenca, elevandola a strumento principe del genere flamenco.
Si puo’ dire che alla fine del XIX secolo il flamenco abbia raggiunto la sua forma attuale. Tuttavia bisogna tenere presente che questo genere per sua stessa natura e’ in continua evoluzione. E` insita nella tradizione flamenca la tendenza ad assorbire continuamente generi e tendenze nuove, caratteristiche del luogo e del momento. Il flamenco contiene radici culturali comuni almeno a tutti i popoli del mediterraneo e a quelli dell’America latina, e a questo e’ dovuta la sua “universalita’”.
Eppure, nonostante tutto il flamenco mantiene particolari caratteristiche che lo rendono unico e riconoscibile in tutti i tempi e in tutti i luoghi. E` un genere dotato di un notevole carattere intimistico e di un’enorme forza comunicativa, che nasce a mio parere da una simbiosi unica tra musica e danza. Il baile non solo interpreta la musica, ma ne e’ parte integrante perche’ le palmas e lo zapateado sono contemporaneamente elementi coreografici e ritmici. Alcune danze della tradizione flamenca (la buleria, ad esempio) sono veri e propri dialoghi tra il musicista e il ballerino, con domande e risposte, che corrispondono a determinati elementi coreografici, accompagnati da variazioni ritmiche e armoniche. Altre danze (anche la sevillana) sono invece piu` simili a racconti illustrati dal baile e descritti dal cante.
Quindi definire il flamenco una danza, oppure un genere musicale, forse e’ restrittivo. E` entrambe le cose, ma e’ anche una forma di rappresentazione teatrale, e’ il modo dei gitani, popolo fuori dalla storia, di raccontare la propria storia.
(liberamente tratto da testi vari)